Scheda articolo : 292827
Il Tempo strappa le ali ad Amore, 1629
Autore : RUTILIO MANETTI
Epoca: Seicento
Misure H x L x P  

RUTILIO MANETTI

(Siena, 1671 - 1639)

Il Tempo strappa le ali ad Amore, 1629

Olio su tela cm 143x199

Firmato e datato in basso a sinistra "Rutilio Manetti f./1629"

Dipinto di grande forza espressiva, tratta il tema della punizione di Amore, soggetto amato dalla pittura caravaggesca e dallo stesso Caravaggio, che, come sappiamo dalla corrispondenza fra i fratelli Deifebo e Giulio Mancini, aveva realizzato un soggetto del genere, acquisito dal cardinal Francesco Maria Del Monte e oggi disperso (cfr. Michele Maccherini, Novità su Bartolomeo Manfredi nel carteggio familiare di Giulio Mancini: lo “Sdegno di Marte” e i quadri di Cosimo II granduca di Toscana, in “Prospettiva”, 93-94, 1999, p. 131). Nelle varie interpretazioni del tema Amore può essere punito da Marte, oppure, con maggior risvolto morale, dal Tempo, come nel dipinto in esame. Elemento pressoché costante del soggetto è la figura di Venere, che, disperata, tenta di frenare l’azione del Tempo.
Nell’opera in oggetto il Tempo, Amore e Venere si stagliano su di un fondo scuro in una composizione che ha uno sviluppo longitudinale. Una luce imparziale evidenzia con identico nitore la carnagione decrepita quasi repellente del vecchio padre Tempo e la delicata materia serica della veste di Venere. Tutto rientra nell’estetica caravaggesca e l’autore arriva addirittura ad attingere dal repertorio fi gurativo del Merisi per ideare la posa della figura urlante a braccia aperte di Amore, che deriva dal ragazzo che
fugge inorridito dalla scena del Martirio di san Matteo nella Cappella Contarelli di S. Luigi dei Francesi. A dispetto del suo straordinario fascino, questa tela sembra ignota alla letteratura artistica e alle fonti documentarie. L’inventario dell’eredità del nobile senese Adriano Sani (1729) registra un dipinto con “il tempo che leva le penne all’ali di amore di Raffaello Vanni con cornice dorata” (Archivio di Stato di Siena, Curia del Placito, 313, c. 66. L’inventario è disponibile on line: Getty Provenace Index, Arch. doc, I-1818). Ho riconosciuto con certezza l’opera in un dipinto già in possesso degli eredi della famiglia Sani, attribuendolo al tardo caravaggista, oriundo dei territori senesi, Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino (Marco Ciampolini, Novità su Cavalier d’Arpino e Rustichino: appunti sul collezionismo senese dei caravaggeschi, una proposta per Spadarino e un
possibile Vouet, in Atti della giornata di studi Francesco Maria del Monte e Caravaggio, a cura di Pierluigi Carofano, Monte Santa Maria Tiberina, 2 ottobre 2010, Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, 2011, p. 56 fi g. 7). Questo dipinto, in seguito, è stato alienato dalla famiglia e venduto all’asta Pandolfi ni di Firenze con il generico riferimento a “Pittore caravaggesco, sec. XVII” (15 ottobre 2013, pp. 112-113 n. 116, fi g. col.). Tuttavia la notizia è interessante, si tratta di un’ulteriore prova dell’interesse dei committenti senesi
per questo soggetto. Nel 1613 il Mancini, appunto, non avendo potuto ottenere la Punizione di Amore di Caravaggio, fece eseguire da
Bartolomeo Manfredi una replica variata del soggetto per Agostino Chigi, rettore dello Spedale di Santa Maria della Scala a Siena, ossia lo straordinario Marte che punisce Amore, oggi nell’Art Institute di Chicago (cfr. Maccherini, Novità su Bartolomeo Manfredi...cit., pp. 131- 133). Anche il dipinto in esame è di probabile committenza senese, infatti l’opera è con certezza di Rutilio Manetti, il più sincero caravaggista di Siena e il caposcuola della città nella prima metà del Seicento. La figura del Tempo è stata indubbiamente partorita dalla stessa mano che ha dipinto il profeta Isaia nell’Immacolata con i profeti David e Isaia di S. Niccolò degli Alienati a Siena, mentre il volto di Venere si lascia confrontare con quello dell’angelo di destra del Lot intrattenuto dagli angeli del Keresztèny Múzeum di Esztergom (sui dipinti di S. Niccolò degli Alienati e di Esztergom vedi Alessandro Bagnoli, Rutilio Manetti 1571-1639, catalogo della mostra, Siena, Palazzo Pubblico, 15 giugno-15 ottobre 1978, Firenze, Centro Di, 1978, pp. 123-124 n. 58a, fi g.; Marco Ciampolini, Pittori Senesi del Seicento, Siena, Nuova Immagine Editrice, 2010, pp. 256, 285 tav. 144 col., con precedente bibliografia). Si tratta di due opere di Rutilio Manetti collocabili intorno al 1630 (l’Immacolata è fi rmata e datata 1629), periodo in cui il pittore approfondisce nella sua arte l’indagine realistica, sottolineando, senza compiacenza, gli aspetti
più crudi della realtà e intensifi cando lo studio dei valori materici degli oggetti o dei panneggi che riproduce. Un’esigenza nata forse
in seguito a un soggiorno a Roma (non documentato e non ancora postulato dalla critica, ma collocabile nel 1627 anno in cui abbiamo un singolare vuoto di notizie sul Manetti), che spiegherebbe il ripasso sulla produzione di Caravaggio e dei suoi più fedeli seguaci, rilevabile nelle opere di questo periodo, come quella in esame, con l’esplicito richiamo al fanciullo che grida nel Martirio di san Matteo Contarelli del Caravaggio che si ripete nella Resurrezione di S. Niccolò in Sasso a Siena, una pala commissionata nel 1629 e ultimata nei primi mesi del 1631 (cfr. Bagnoli, Rutilio Manetti...cit., p. 126 n. 60), che elabora anch’essa in chiave teatrale, quasi a passo di danza, la spettacolarità di gesta, emozioni, luci e colori, insita nella cultura caravaggesca. (Marco Ciampolini)

Studiolo di Stefano e Guido Cribiori 
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