Nato a San Floriano, Milano, dal 1965 Armando Riva opera nel campo delle arti visive, sia come scultore, sia come pittore. Sue personali sono state ospitate alla Galleria Fondazione Europa di Milano e alla Galleria Rialto di Venezia (nel 1971), nel '74 alla Galleria la Leonessa di Brescia, nel '75 al Centro d'Arte internazionale di Milano e al Palazzo delle Prigioni ancora a Venezia.
Nel 1980 passa al cinema, girando 7 films tra finzione e animazione, partecipa ad alcuni festival "Bergamo Film Meeting", "Mystfest di Cattolica”.
Nel 1989 in occasione della caduta del muro di Berlino, viene invitato al festival di Selb in Germania.
Chiusa la parentesi cinematografica si trasferisce sul Lago d'Iseo e lì si dedica interamente alla scultura.
Nel 1993 ha esposto a Rodengo Saiano nel chiostro della Abbazia Olivetana, l'anno seguente al Literaturage di Moenchenglandbach, dov'è stato ospitato anche nel 1995; nel 1997 ha tenuto un'esposizione all'Albereta di Gualtiero Marchesi dove è tornato nel 1999.
Cavallo vincente, sua imponente opera in bronzo raffigurante un cavallo in corsa, è stata presentata all'Ippodromo di S. Siro a Milano.
Sue opere si trovano in collezioni private in America, Spagna, Inghilterra, Germania, Francia, Libano, Cina, Giappone.
Cammino con Armando sull'argine del Po sporcato dalla neve, un paesaggio silente e suggestivo che favorisce il dialogo e le nostre riflessioni.
Fuma il suo sigaro, rilassato, avvolto in un tabarro e riparato da un cappellaccio. La sua è la figura di un asceta.
Lo guardo, lo vedo in bianco e nero: lui, la neve e il Po. E ascolto.
Lo ascolto parlare di arte, cinema, musica, di una vita vissuta senza compromessi, ma anche senza svarioni, con un particolare e saldo equilibrio legato alla consapevolezza della strada da percorrere. Da percorrere non da raggiungere, perché non esiste un traguardo per l'arte.
Chi conosce Armando lo ama perché sa che non cederà mai ad un cliché o a una
idea ruffiana e ben riuscita da ripetere ad libitum nei secoli dei secoli;
Armando Riva sfida, sperimenta, sbaglia, trionfa, si pente, riparte. Crea dei capolavori irripetibili, come degli standard, poi se ne dimentica , cambia direzione, va avanti restando però sempre se' stesso collocandosi di diritto tra i grandi maestri di oggi e tra i pochi artisti degni di questo nome. La tradizione gli appartiene e si respira in ogni sua opera. La resa naturalistica è un dono che padroneggia a suo piacimento esprimendola in una qualità esecutiva così elevata da risultare imbarazzante. Armando ti sorprende regalando un'anima alle sue creazioni e lo fa, anche, grazie all'uso di materiali che a molti parrebbero improbabili: bambù, plastica a bolle, lamiere e borchie. Il tutto va a comporre magicamente, di volta in volta, la tuta di eroici motociclisti e i tubi di scappamento dei loro bolidi, la curiosa espressione della pecora Olga, la corazza e il tutù della ballerina/guerriero, la pelle del tuffatore come in una sorta di impressionismo contemporaneo atto a dare vita a tutte le invenzioni che la cultura di Armando lascia emergere dalla sua apparente semplicità, meravigliando ogni volta.
Ed è proprio questo il senso della passione che le sue opere provocano: la continua sorpresa suscitata dall'invenzione, la curiosità di scoprire cosa accadrà, conoscendo e percependo la forza incredibile e la impetuosa e tormentata tensione che le genera; talento puro che non necessita di troppi preamboli.
Certo l'ho già detto, ma mi piace ed è giusto ripetere che l'arte di Armando arriva come un pugno dritto nello stomaco e non se ne va più.
Oggi, scrivo ancora di lui con l'orgoglio di esserne amico sincero e la fortuna di apprezzarlo anche umanamente.
Riva nel 2015 è un artista talentuoso, sofisticato e coerente in un mondo artistico fatto di parole e brand spacciati per opere d'arte.
D'altro canto l'arte e la sensibilità appartengono , da sempre, a pochi fortunati e tale rimarrà. Basta non farsi trascinare dalle mode e dal marasma demenziale che sembra contagioso, almeno a giudicare dal numero dei suoi adepti. Non lasciamoci confondere...la qualità, specie nelle arti visive, è sempre stata aliena ai grandi numeri e questo è un dato inequivocabile,
oltre che paradossalmente tragicomico.
Non esistono più grandi pensatori in grado di diffondere cultura e indirizzare il gusto nella giusta direzione, divorati loro stessi da un'era in cui tutti possono parlare liberamente senza cognizione di causa e dove chi grida più forte ha ragione. Raramente chi lavora bene avverte il bisogno di urlare. L'Arte dovrebbe riconquistare la sacralità del suo silenzio contemplativo come sempre è stato nei secoli addietro, cosicché le persone possano tornare a percepire con i propri sensi i significati e le sensazioni che essa vuole trasmettere e che realmente contiene.
guido cribiori, 28 gennaio 2015