Studia disegno a Roma, già nel 1921 sotto la guida di Carlo Alberto Petrucci, ma dopo alcuni mesi si trasferisce quattordicenne a Firenze, nello studio di Felice Carena; nel 1922 raggiunse la famiglia a Padova, dove il padre, questore, era stato
trasferito: qui entra in contatto con l'ambiente artistico e critico veneto e inizia a perfezionarsi copiando le opere dei grandi Maestri del passato; nel 1925 presenta alla I Esposizione degli Artisti di Ca' Pesaro al Lido una serie di dipinti a soggetto sardo: ha 18 anni e Sua Maestà il Re acquista il suo dipinto La famiglia; sempre nel 1925, suscita elogi ed entusiasmo con un dipinto di grandi dimensioni (cm 186x186) La croce, nella Quarta Esposizione d'Arte delle Tre Venezie e decora il padiglione della Moda alla Fiera Campionaria di Milano; espone a Venezia, dove appena diciannovenne stupisce nella prestigiosa Opera Bevilacqua La Masa in Piazza San Marco (XVII edizione). Nel 1928 viene invitato alla XVI Biennale Internazionale d'Arte della Città di Venezia, dove sarà sempre presente fino al 1948. Nel 1929 si trasferisce a Milano dove entra a far parte del gruppo Bagutta, di cui è l'artista più giovane.
Scrive nell'autobiografia: "La mia vita comincia. Vengo accolto assai affettuosamente nel cenacolo di Bagutta.
Lì troverò amici che poi saranno gli unici veri amici di tutta la vita....A Bagutta stavo molto ad ascoltare, essendo io il più giovane, e, ascoltando, imparavo molte cose, mi orientavo sulle letture da fare e da non fare. Di Arte si parlava molto, ma il mio istinto si ribellava spesso a certe valutazioni....”
Partecipa su invito alle più importanti rassegne italiane ed estere: la Quadriennale di Roma (1931, 1935, 1943, 1959); la rassegna The international Exhibitions of paintings al Carnegie Institute of Pittsburg (1934, 1935, 1936, 1937, 1938, 1939, 1950); la Mostra Sociale della Permanente di Milano (dal 1935 al 1939); il Premio Bergamo 1940; le Biennali di Brera (1955, 1957, 1959).
Bernardino Palazzi fu un genio disciplinato, di grande cultura, legato profondamente alla sua terra d'origine: "Vi è in quella terra una profonda tristezza che, dentro a ciascun sardo, è alla base di tutto il suo modo di sentire, di operare, di credere e di non credere. Una stanchezza antica, scettica, eppure affettuosa, lo tormenta e gli impedisce di fare assai più di quanto potrebbe fare..." Nel 1947 alla galleria Gian Ferrari di Milano presentò quaranta quadri e una ventina di disegni; le recensioni furono discordanti, Ugo Nebbia sottolineò "la felice coerenza e l'invidiabile
immediatezza espressiva” del Palazzi. Alla critica più ostile l'artista rispose: "Ci tengo a far cose ben disegnate e ben dipinte... perciò mi son scelto anche la parte più difficile: la figura, il ritratto, il nudo, la composizione senza sottintesi e senza trucchi. [...] Non mi importa che mi chiamino pittore non puro perchè la pittura pura non esiste: è attività sterile. E non ho paura dell'illustrazione come i pittori metafisici. [...] Non voglio fare della Metafisica perchè andrei contro la mia coscienza: è più facile dipingere una bottiglia che una mano e io preferisco dipingere una mano a costo di non sembrare moderno perchè quello della pittura antica e moderna è un pregiudizio. D'altronde mi sembra che i moderni, i veri rivoluzionari, siamo noi, i veri reazionari della pittura, perchè andiamo controcorrente ora che l'estremismo è diventato
accademia.”