Carlo Ceresa (de' Ceresi) nacque il 20 genn. 1609 a San Giovanni Bianco, contrada Grabbia in Val Brembana (Bergamo) da Ambrogio e Caterina, benestanti, ivi trasferitisi dalla Valsassina (lettera del 23 giugno 1747 del parroco Cristoforo Milesi a Francesco Maria Tassi, in F. M. Tassi, Miscellanea, ms., c. 271, presso la Bibl. civica di Bergamo).
Il C. è con Evaristo Baschenis il pittore più importante del Seicento a Bergamo. Ritrattista di grande rilievo secondo la tradizione della scuola e come tale rivalutato nell'ambito della "pittura della realtà", è da riconsiderare anche come autore di quadri sacri, conservati in gran numero nel territorio bergamasco e apprezzati, insieme alle opere in piccolo, dai biografi settecenteschi.
Il C., fattosi adulto, tramite la moglie Caterina Zignoni ebbe legami di parentela che giovarono certamente a introdurlo a Bergamo - dove abitò a lungo in via S. Alessandro, la strada degli artisti - presso la borghesia e l'aristocrazia, delle quali diventerà il più richiesto ritrattista.
I due biografi settecenteschi, il Tassi e il conte Giacomo Carrara (in Tassi, II, pp. 104-107), affermano che fu avviato alla pittura da Daniele Crespi, la cui influenza notano nelle sue prime opere. L'apprendistato presso Daniele, da fissarsi prima del 1630, coincide con gli anni da presumersi di formazione.
È indimostrabile, ma non improbabile, l'ipotesi che il giovane bergamasco abbia collaborato alle imprese che assorbirono completamente l'attività degli ultimi anni del Crespi, al ciclo di Garegnano, come ha supposto il Testori (1953), o agli inizi della decorazione della certosa di Pavia, che resterà incompiuta alla morte di Daniele e dove alcuni fregi di putti sembrano segnare il passaggio al modellare lucido e riassuntivo del Ceresa. È da notare che il C. dipinse quasi esclusivamente "quadri muovevoli" (Pasta), e cioè dipinti a olio su tela; tuttavia il conte Carrara ricordava una pittura a fresco a Villa di Nese, e nella parrocchiale di Terno d'Isola sono suoi gli affreschi tradizionalmente riferiti a G. P. Cavagna ai lati dell'arco trionfale con l'Annunciazione, nella sagrestia quello con il Crocifisso e la Maddalena, datato 1653, e nel soffitto medaglioni con Angeli.
Del 1629 è l'Addolorata col Cristo morto, santi e due committenti di Fuipiano al Brembo cit. dal Maironi da Ponte, in cui pur sfigurata dalle ridipinture, si riconosce il C. nei due lucidi ritratti in primo piano. La semplicità votiva e le soluzioni di manierismo ritardato dimostrano una povertà di idee che non può che essere il frutto di una formazione di ambito locale. È invece evidente che egli aveva già maturato il suo talento nell'ambito del ritratto non soltanto ricollegandosi all'ovvio punto di riferimento rappresentato in loco da G. P. Cavagna, ma a fonti naturalistiche più recenti. L'anno seguente datava la pala con i SS. Rocco, Sebastiano e Gerolamo della parrocchiale della Pianca a San Giovanni Bianco, quadro votivo fatto eseguire dalla comunità per lo scampato pericolo della pestilenza, e il Crocifisso e quattro santi di S. Antonio, abbandonato a Zogno.
In questi dipinti il pittore appare legato a schemi di estremo manierismo e di patetismo di estrazione nordica piuttosto che veneta, un orientamento che trova riscontro nella produzione di ambito bergamasco che fa capo a D. Carpinoni. Con questo originale pittore operante a Clusone e in Val Seriana e con la sua pungente maniera è probabile che il C. abbia avuto inizialmente dei contatti diretti, che contribuiscono in parte a spiegare anche gli echi dei modi di Palma il Giovane che sono costantemente presenti nei quadri sacri. Altri aspetti rivelano l'influenza del Crespi.
Una completa ricognizione dell'opera del C. è in corso. Il periodo più oscuro resta tuttora il decennio 1630-40, di cui si sono individuati solo recentemente alcuni dipinti sicuramente databili.
La Madonna in gloria con i ss. Nicola da Tolentino, Apollonia e Lucia della parrocchiale di San Giovanni Bianco appartiene ancora a una fase di faticosa elaborazione di un linguaggio colto di ispirazione milanese che contrasta sia con gli aspetti devozionali dell'opera, sia con i fortissimi ritratti dei committenti. Il gruppo della Madonna col Bambino si approssima alla Madonna in gloria con i santi Nicola da Tolentino, Rocco, Carlo e Sebastiano di Isola di Fondra, firmata e datata 1636 (la data è stata erroneamente letta 1656 dal Pinetti, 1931, p. 309). Due anni prima il C. aveva inviato a Dossena due tele con S. Francesco e S. Carlo (M.Omacini, Dossena, Bergamo 1974, pp. 73, 81, tav. 31: vedi anche tavv. 33 s., attribuite al Ceresa). Qui il pittore è rivolto al naturalismo devozionale e populistico che aveva avuto una forte affermazione, da collegarsi a esperienze caravaggesche, a Verona e, più a ovest, con Tanzio da Varallo. Le relazioni con il Turchi più austero e con Pasquale Ottino appaiono la spinta iniziale che porterà il C. alle semplificazioni formali e d'immagine, attraverso la trama rigorosa della luce e dell'ombra, che caratterizzeranno stabilmente la sua pittura. La stessa nitidezza unifica la rappresentazione nella Madonna e santi di Isola di Fondra e nelle due interessanti immagini, quasi cartelloni sacri, con S. Carlo e S. Giovanni Battista di Fuipiano al Brembo. Nel dipinto di Isola di Fondra le sopravvivenze manieristiche, l'espressione degli "affetti" ispirata al pathos accademizzato di D. Crespi, si affiancano a riferimenti allo Strozzi (e perciò alla cultura veneta contemporanea). Nella Vergine non appare ancora il modello tipologicamente omogeneo, tanto da far ritenere credibile l'affermazione dei biografi secondo la quale il C. ritrasse nella Madonna le fattezze della moglie, che egli adotterà in molte composizioni sacre, chiesastiche e da stanza, alcune delle quali da datarsi più esattamente dopo il '36. La Sacra Famiglia e angeli di Tribulina presso San Giovanni del Bosco sembra la più antica del gruppo per le connessioni ancora evidenti col Carpinoni. insieme con la Madonna col Bambino e s. Giovannino di propr. priv. (Valsecchi, 1972, fig. 11).
Il processo di acculturazione della pittura sacra del C. è probabilmente da collegarsi con il trasferimento a Bergamo e il primo termine di riferimento appare la rimeditazione di Daniele Crespi. Nel S. Sebastiano tra le ss. Caterina e Lucia di Casnigo, le due sante sono vestite con severità e sfarzo, i due elementi propri del "costumbrismo" di origine spagnola, che deriva dalla circolazione e dalla rielaborazione delle stampe devozionali fiamminghe. Per questi aspetti l'opera trova un preciso parallelo, a largo raggio, nella pittura sacra del genovese Domenico Fiasella. Molto prossima è la Madonna delRosario di Almè, la prima delle numerose redazioni del soggetto che il C. eseguì per le chiese del territorio bergamasco (Mazzini, 1960, n. 3). I tondi con i Misteri del Rosario che accompagnano la figurazione principale documentano la lodata maniera in piccolo del pittore, qui ancora carica di notazioni di patetismo morazzonesco e danielesco. La Pietà del Crespi che è oggi al Prado ispirerà più tardi almeno due composizioni, tra le più intense e private che abbia dipinto il bergamasco; una è conservata nella parrocchiale di Terno d'Isola, l'altra in una collezione di Bergamo. Appartengono a questa fase e forniscono un utile punto di riferimento cronologico due guaste Storie di s. Alessandro, compiute per la chiesa di S. Grata di Bergamo, laterali di una tela di Fabio Ronzelli, citate dal Pasta con molta lode e come "opere lontane dal manierismo" dal Lanzi, seguito soltanto da scrittori non bergamaschi. In una di esse si decifra la firma e la data 1639. Le affollate narrazioni sono affidate a uno schema a due piani di origine ancora morazzonesca e alla sapienza narrativa, "manzoniana", dei milanesi. Il chierico di schiena è una citazione da Daniele. Altre tracce dell'importanza che il Crespi ebbe per il C. si riscontrano nella Sacra Famiglia pubblicata dal Valsecchi (fig. 2) e nel Battesimo di Cristo di Terno d'Isola dove gli angeli rappresentano una prima idea per quelli presenti nella pala di Nese con S. Felice che riceve dalla Vergine il Bambino del 1644.
A questa data e con questo dipinto, che si ricollega a una fortunata invenzione risalente al Gentileschi e in Lombardia adottata anche da L. Miradori, gli orientamenti del C. appaiono profondamente cambiati. Sebbene si noti tuttora nei bellissimi angeli la carica introspettiva che risaliva a Daniele, la nitidezza dell'immagine e la trasparente luminosità trascrivono visivamente, come in altri episodi del naturalismo seicentesco, la simbologia della rivelazione e della penetrazione mistica e il clima di limpidezza morale consono al soggetto. Una precisazione è da farsi circa la data della Madonnain gloria e i ss. giuseppe, Francesco e Carlo della parrocchiale di Borgo Santa Caterina a Bergamo, da leggersi 1643 e non 1653, ciò che conferma la svolta degli anni '40 (una verifica è fornita dai ritratti), come un punto nodale nel percorso del Ceresa.
Mentre l'intenso luminismo ha in quest'opera lo stesso significato che nel quadro di Nese, le citazioni dal Domenichino negli angeli, la scelta di uno schema guercinesco nell'impaginazione del rapporto tra i santi e la Vergine in gloria si collocano nella vasta problematica della "pittura sacra", vivissima in quegli anni, e presuppongono dei viaggi di cui peraltro non abbiamo notizia. In questi dipinti, per certi risultati di semplificazione formale di modelli illustri e per il luminismo trasparente, "da ferma", il C. risulta un parallelo di pittori emiliani come il Centino e, per il patetismo connesso all'espressione estatica, del Cagnacci. Si notano anche, in chiave naturalistica, riferimenti rilevanti con fatti dell'Italia centrale, con lo spirito delicato e devoto e con le superfici accarezzate dei quadri dello Spadarino, nonché con l'opera del Sassoferrato, il cui significato paradigmatico nell'ambito della "pittura sacra" è ben noto e che fu coetaneo ad annum del bergamasco, essendo nato anch'egli nel 1609.Alcune opere - si ricorda in particolare un S. Benedetto del monastero di Pontida (G. Spinelli, in Arte cristiana, LXIV[1976], p. 327) - possonoritenersi rielaborazioni intelligenti dal Salvi. Tale nesso conferma l'apertura mentale del C. e quanto sia infondata l'asserzione - solitamente rivolta anche ad altri "pittori della realtà" che i suoi quadri religiosi siano un'attività minore.
In questo orientamento, che si svolgerà fino alla fine senza mutamenti di rilievo, il C. occupa un posto a parte, distinguendosi per peculiarità risalenti alla tradizione bergamasca della "pittura della realtà" dai naturalisti dell'Italia settentrionale, tra i quali va tuttavia collocato. Il movimento cui appartenne aveva ereditato e riempito lo spazio della pittura controriformata della fine del Cinquecento, che, nell'opporsi al manierismo, aveva ritrovato il proprio significato di Biblia pauperum. E la pittura del C. fu consapevolmente popolare, capace di oggettivare tangibilmente protagonisti ed eventi della domestica fede dei padri, viva da secoli nelle chiese e nei santuari delle valli bergamasche.
La produzione sacra del C. ancora conservata nel territorio è, come si è detto, vastissima. Fra gli esempi più importanti si devono ricordare almeno la Madonna ingloria e santi di Ponteranica del 1648, la Madonna del Rosario di Nese (Mazzini, 1960, n. 16), le pale di Brembilla e della Costa San Gallo, nonché il S. Vincenzo della cattedrale di Bergamo (più tardo di quanto è stato affermato), la singolare Guarigione miracolosa del santuario di Desenzano sul Serio, a metà strada tra il Gentileschi e il Ceruti, e la Madonna col Bambino, s. Antonio e angeli di Urgnano, notevole per il tentativo di ambientazione in un'architettura, classica. Le opere tarde (come la Nascita del Battista di Madone e l'ultimo quadro datato, nel 1674, L'Angelo custode, l'Annunciazione e santi di Ardesio), sebbene non abbiano novità di rilievo, sono sempre di impegno sostenuto.
Alcune chiese e santuari, le parrocchiali di Terno d'Isola, di Somasca, d'Ogna, conservano più opere del Ceresa. Nella parrocchiale di Nesesono suoi anche un Presepio e un'Adorazione dei Magi attribuiti (Pinetti, 1931, p. 335) a G. Carobio. Nella chiesa della Natività di Monte di Breno i drammatici Misteri del Rosario consentono di attribuire al pittore, per analogia, anche i due ovali con il Presepio e la Visitazione al Museo Malaspina di Pavia (nn. 274, 317: A. Peroni, in Arte a Pavia, Salvataggi e restauri [catal.], Pavia 1966, pp. 90-92). Nella stessa chiesa l'Annunciazione rappresentata in due tele sull'arco trionfale e datata 1660 porta alla più importante restituzione al C. al di fuori dell'area bergamasca: il noto Angelo annunciante dell'Accademia Albertina di Torino che è stato a lungo attribuito a Orazio Gentileschi.
Caratterizzano le opere del C. l'aspetto coloristico, i pallori lucidi degli incarnati e, in contrasto, i toni decisi dei panni su larghe superfici, talvolta con un significato arcaizzante e devozionale che trova il corrispondente remoto e l'archetipo nella pittura spagnola, ma che il C. traduce in un accordo originale di festa contadina.
Lo schema delle pale d'altare dedicate alla Vergine in gloria si ripete spesso con poche varianti e nelle composizioni più serrate, come nella Madonna del Rosario di Monte di Breno, nella Sacra Famiglia e santi di San Pietro d'Orzio, databili nel decennio 1650-60, e nella più tarda Madonna del Rosario di Terno d'Isola, nonché in Sacre conversazioni di formato da casa (alle già note si aggiunga la Sacra Famiglia della coll. Hart, attrib. al Moroni: cfr. The Connoisseur, 159 [1965], p. 154), è evidente il riferimento a G. C. Procaccini nel legamento a cuneo delle figure; uno dei suoi modelli preferiti fu certamente la Madonna con santi e angeli del Procaccini (Bergamo, Curia vescovile) che è stata talvolta attribuita al pittore bergamasco. Il volgere a schemi miracolistici, nei quali si allentano i nodi e i gorghi dei primi milanesi, è però la tendenza più frequente, che il C. ha in comune con la seconda generazione lombarda e che lo avvicina talvolta, come è stato notato dal Ruggeri (1968, 1970, 1974) al cremasco Gian Giacomo Barbello, che, più anziano di lui, operò lungamente a Bergamo e nelle zone circonvicine. Tale rapporto è provato dalle relazioni riscontrate nei disegni (nel folto gruppo della Pinacoteca Tadini a Lovere, dove sembrano presenti ambedue i pittori) e nella pratica dell'opera in piccolo. Tuttavia il C. si differenzia in modo sostanziale dal Barbello per la diversità delle fonti figurative, per il modo sempre concreto di ideare la macchina sacra (per questo aspetto è probabile abbia influenzato talvolta il cremasco), per le evidenze naturalistiche, per la pregnanza ritrattistica, infine per la vena di un'umanità aliena dalle agudezas del Barbello come dal suo estro narrativo e grottesco.
Le concezioni circa la pittura sacra cui il C. aderì lo portarono a ripetere (ciò che non sfuggì al conte Carrara) non poche delle sue invenzioni come immagini fisse. Il soggetto molto richiesto del S. Antonio col Bambino Gesù fu ilpiù replicato, in una serie di schemi con poche varianti, per lo più a figura intiera, spesso abbinato ad altra figurazione (l'Angelo custode a Camerata Cornello, s. Nicola da Tolentino a S. Alessandro della Croce a Bergamo), o inserito in composizioni più complesse (a Baresi, a Val Secca, a Fontanella al Monte, nella chiesa di Valverde a Bergamo). Alcuni esemplari sono datati (a Mezzoldo nel 1658, a Ogna nel 1662).
L'attività del C. come pittore di ritratti cominciò precocemente, come è accertabile dal quadro di Fuipiano. Si può credere senza difficoltà che la tradizione avviata dal Moroni e dal Cavagna a Bergamo sia stata determinante perché il C. fin dalla gioventù coltivasse il ritratto dal naturale con un interesse che potrebbe dirsi specialistico, se non vi si opponesse la valutazione che oggi si deve dare, come si è visto, anche del C. sacro. Questo aspetto, a una ricognizione sistematica, si rivela infatti tutt'altro che insignificante e tutt'altro che privo di idee, così come richiedeva una provincia dove il problema religioso fu vivissimo e si espresse nella forte committenza per le chiese.
Nel C., più che in ogni altro "pittore della realtà" a partire dal Moroni, le due sfere di attività sembrano avvicinarsi in un comune assunto naturalistico, che nella pittura sacra ebbe ragioni profonde e strettamente legate al significato e agli scopi che pittori e committenti intesero affidarle. Per la sua lucida capacità di rappresentare non soltanto il modello ma altresì la varietà dell'abbigliamento, creando tra i due aspetti una relazione che riesce a fissare straordinari caratteri e aspetti domestici della vita seicentesca, il C. è da considerarsi il ritrattista più importante che si sia avuto in Italia settentrionale prima del barocco maturo. Di fatto, la riscoperta moderna del C. in occasione delle esposizioni fiorentine del 1911 (Caversazzi, 1927) e del 1922, dallo scritto iniziatore di Voss del 1932, fino agli scritti del Testori e del Longhi e alla mostra dei "pittori della realtà" del 1951, è affidata principalmente al ritratto, che per l'obbiettività e la potenza talvolta perentoria della presentazione, per la semplicità aliena da amplificazioni barocche, è stato visto in parallelo con i grandi esemplari della ritrattistica spagnola, in particolare del Velázquez. Il C. frequentò Milano e operò ai confini del territorio soggetto alla Spagna, dove si potevano conoscere pittori legati all'ambiente degli spagnoli come il Miradori (attivo principalmente a Cremona ma anche per i Borromeo), il cremonese P. M. Neri e A. de Realis, singolare anche se non eccelsa personalità attiva in Valsassina negli anni '40 (il Ruggeri ha ricordato che questo era il luogo d'origine della famiglia del C.), che ebbe conoscenza diretta della pittura iberica di ispirazione zurbaranesca. Tuttavia è da tenere presente che gli inizi dell'attività ritrattistica del C. risalgono agli anni intorno al '30, perciò in anticipo sugli artisti citati. La formula "spagnola" che lo distingue fin da principio è il risultato di una semplificazione adottata anche nei quadri sacri e promossa da una fusione di sollecitazioni equidistanti, dalla sua conoscenza dei veronesi, e dall'influenza della Spagna nel territorio viciniore con i suoi riflessi in Bergamo stessa, con la forte probabilità che egli abbia potuto conoscere a Milano dei ritratti del Velázquez del 1624-30.
Un'indagine orizzontale ci riporta anche nell'ambito della forte corrente ritrattistica contemporanea formatasi in alta Italia intorno al 1630 lungo la direttrice Genova-Venezia sulla traccia delle innovazioni vandyckiane, che rappresenta la revisione, in varia misura di ispirazione naturalistica, di quella matrice fiamminga che dette impulso al diffondersi di importanti interpretazioni del ritratto, con T. Finelli a Venezia, con P. F. Cittadini tra Lombardia e Emilia, con I. Fischer in Friuli. A questa corrente appartennero non soltanto lo Strozzi e il Maffei, ma, con maggiore incidenza in senso naturalistico, pittori forestieri come Nicolas Regnier, approdato a Venezia nel 1624-25 dopo l'esperienza caravaggesca. Nel 1635 il Regnier inviava a Dossena un'UltimaCena e un'Orazione nell'Orto (per la chiesa di S. Giovanni Battista), dove i ritratti, di forte ispirazione naturalistica, risultano strettamente affini alla linea del Ceresa. Anche più importante per l'artista dovette essere la presenza a Bergamo, documentata nel 1633, di Daniele Van den Dyck che probabilmente fece proficue meditazioni sulla tradizione locale. Ciò dà ragione degli scambi attributivi tra i due pittori (mostra del 1953; Valsecchi, 1972). Un esempio dei quali è da indicarsi nel lucido Ritratto di giovinetto del Castello Sforzesco a Milano, datato 1631, che inizia solitamente la sequenza dei ritratti del C., ma che spetta al pittore fiammingo (M. Precerutti Garberi, Pinac. del Castello..., Dipinti restaurati [catal.], Milano 1970, p. 26, ill.).
La sequenza dei ritratti del C. a partire dagli anni '30,accertabile per via stilistica o attraverso i particolari della moda, comprende l'Uomo col bambino (Auckland, Nuova Zelanda, Art Gall.: ill. 7,in Valsecchi, 1972),la Signora con tre bambini (Mentana, coll. Zeri: ill. 5, in Valsecchi) che si rifà allo schema della ritrattistica aulica forse conosciuta a Mantova, per alterarla nella sostanza umana dei tre infanti. A questo periodo risalgono anche il Ritratto di uomo grasso (Valsecchi, fig. 39)e quelli di tre Giovani gentiluomini, forse fratelli, conservati in una antica collezione bergamasca (Marzocchi Scarpa-Stracuzzi Simoni, 1973).Sebbene apparentemente seriali e ripetitivi, in essi il C. è riuscito a dar vita a una serie di immagini esangui, post pestem, tra le più significative del nostro Seicento. Nel noto Ritratto di dama già Sala (Milano, Pinacot. di Brera: Boll. d'arte, XLI [1956], p. 372), immagine prepotente nella sua essenzialità perentoria, la presenza fisica invade il campo visivo in una nuova dimensione seicentesca. Nei due esemplari a figura intiera con una Coppia di coniugi con i figli (di collezione privata bergamasca) appaiono sensibilmente accresciute la capacità di ravvivare lo schema del ritratto - mentore il Moroni dei ritratti Spini - e di arricchirlo con nuove implicazioni di costume. Il risultato è una penetrazione psicologica che travolge l'etichetta, una sorta di risonanza narrativa e mondana che avrà un seguace in P. F. Cittadini.
L'anno 1640 è scritto sul Ritratto di Laura Zignoni Boselli (Valsecchi, 1972, tav. III), che inizia la serie con la quale il C. si atterrà costantemente, per circa due decenni, a una formula di mezzi semplici, ma di grande intensità. L'ispirazione naturalistica gli fa semplificare le soluzioni dei veronesi, specialmente dell'Ottino, approssimando nei risultati questa visione essenziale, ma non certo riduttiva, al generico carattere "spagnolo" del Seicento (il C. infatti è stato collocato tra i "falschen Spanier"). Lo specifico accento del C. è però da ritrovarsi nella naturalezza di approccio al modello secondo la linea costante della "pittura della realtà".
Prossima alla Zignoni è la Bambina con la rosa già Sala ora coll. priv. (Testori, 1953, fig. 2): la conservazione non buona non diminuisce la naturalezza della presentazione e i valori luminosi e tonali ottenuti nel contrasto con il fondo chiaro del dipinto, che si rivelano i mezzi insostituibili della sua visione naturalistica e aliena da filtri idealizzanti. Una simile giustezza tonale e luministica fa emergere e vivere nella realtà ambientale come una presenza perentoria la figura del Giovane gentiluomo della collezione Camozzi Vertova (già attribuito a G. B. Viola (Valsecchi, tav. XIV), databile forse poco prima del '40. Le mani assumono in questo ritratto un grande rilievo espressivo e pittorico, aspetto, anche questo, per il quale il C. si conferma il continuatore della tradizione moroniana e perfino savoldesca.
Del 1646 è il Ritratto di Bernardo Gritti (Rijksmuseum te Amsterdam 1964, 'S-Gravenhage 1966, pp. 14 s.). Nella presentazione ufficiale del personaggio, in qualità di podestà di Bergamo, è evidente l'affinità con lo Strozzi e con la ritrattistica veneziana, ciò che conferma i rapporti con Venezia coincidenti con la notizia del Tassi del suo soggiorno in questa città in casa Baffi. Nel Ritratto di F. Boselli di collez. privata (Valsecchi, tav. X) la recente pulitura ha portato alla luce la data 1647 perfettamente collimante con le indicazioni del costume. L'anno fissa un momento nel quale il C. sembra ricercare effetti atmosferici di ispirazione fiamminga nel pittoricismo dell'esecuzione, nella descrittività epidermica e nel fondo chiaro, su cui la luce, come ha notato il Valsecchi, si diffonde con varie intensità alonando la testa del ritratto.
In questo episodio vanno inclusi i Due coniugi che apparvero all'asta, Finarte (catalogo del 9 novembre 1971, n. 55). Il franco Ritratto di cavaliere dell'Accademia Carrara di Bergamo (n. 1141), il Ritratto di Lorenzo Ghirardelli, cancelliere della città e dell'Ufficio di sanità, del Museum of Fine Arts di Boston (da questo dipinto è derivata l'incisione per la Scena letteraria del Calvi, 1664), il Cavaliere di Malta (Marzocchi Scarpa-Stracuzzi Simoni), il Giovanni Pesenti (coll. priv.) dat. 1650 (Valsecchi, fig. 18; incerto è il riferimento al C. del Ritratto di Battista Pesenti della stessa raccolta, che di solito gli viene accompagnato: fig. 17) sono dipinti nei quali la presentazione e l'atteggiamento dei modelli dipendono dal ritratto borghese diffuso nel Nord. L'esecuzione vi è però sempre larga e incisiva nella sua essenzialità rappresentativa. Nel Gentiluomo col fazzoletto (Valsecchi, tav. XI) la semplicità dello schema e la franchezza pittorica ripropongono in una chiave inedita e singolare un modello di eleganza vandyckiana; ciò che si notava anche nella rappresentazione più complessa dell'Incontro di quattro gentiluomini (già a Berlino, racc. de La Beraudière; Voss. 1932). Alcuni esemplari che si collocano intorno al 1650 richiamano ancora in modo stringente la ritrattistica velazqueziana. Talvolta l'affinità con il pittore spagnolo è sensazionale - ci si riferisce specialmente al Giovane con i guanti (coll. priv.: Testori, fig. 6). Al gruppo appartengono, per la perentorietà di impaginazione, e l'obbiettività penetrante della rappresentazione che ferma non solo la fisionomia, ma le costanti di una cerchia di borghesi e di piccoli nobili di provincia, la Dama seduta datata 1650 (ibid., fig. 5), la Donna anziana con un libro nella mano destra, inedito, la Dama (New York, coll. Manning Suida) che si è supposto sia uno dei dipinti inviati dal pittore da Venezia a Vienna, di dove proviene (Valsecchi, fig. 24).
Si nota con frequenza che il modello è presentato di tre quarti, seduto sulla poltrona, con le mani in primo piano, protagoniste del ritratto quasi alla pari della testa secondo un fortunato schema moroniano. La rimeditazione del Moroni sembra nel C. un fatto di maturità, non soltanto documentato dalla ripresa puntuale che si è indicata, ma dall'approfondimento psicologico dei modelli. Questi elementi appaiono congiunti nel Ritratto di Iacopo Tiraboschi della Carrara a Bergamo, nel forte Ritratto di vecchio gentiluomo della Fondazione Longhi a Firenze e nel Ritratto di Alessandro Vertova datato 1658 (Marzocchi Scarpa-Stracuzzo Simoni, 1973). Nella stessa raccolta un Ritratto di gentiluomo, probabilmente anteriore, è realizzato con un'obbiettività velazqueziana, che non si esita a definire "devastante".
Dopo la metà del secolo anche il C. riflette i cambiamenti della moda che resero più fastoso il costume sia maschile sia femminile, come nei ritratti di Pietro Maria Pesenti, di Maria Passi, di Anna Maria Pesenti (coll. privata) eseguiti nel 1657 (Valsccchi, figg. 35, 34, tav. XIV); a questa fase risalgono anche i disegni di Lovere (coll. Tadini; uno è datato 1664).
Il pittore descrive con attenzione, ma non sempre con accuratezza, i disegni barocchi delle stoffe e dei merletti, i nastri nelle acconciature e sulle berte, gli ampi colli che avvolgono le spalle delle dame. In compenso accoglie tagli più liberi nei ritratti virili dove è abbandonata l'austerità generalizzata del nero ravvivato soltanto dal bianco del collo e dei polsi. Queste novità corrispondono non soltanto a un cambio della moda orientata verso la Francia, ma a nuovi atteggiamenti psicologici che rappresentano il superamento della naturalità prevalente fino a questo momento nei ritratti del bergamasco. Il Lorenzo Sala (coll. priv.: Valsecchi, tav. XIV) è un capolavoro, degno di stare accanto ai giovani malinconici dello Sweerts. Alla Giovane donna di tre quarti della racc. Piazzini-Albani (ibid., fig. 27) si approssima la Dama che fa coppia col Gentiluomo in piedi già presso la Galleria Manzoni. La ferma visione dei personaggi, la bellezza astratta degli sboffi della manica e dei nastri nella luce indicano in alcuni dipinti di questa fase (e ciò si riscontra anche nel Ritratto di gentiluomo a figura intiera della collezione Polli, posteriore al 1660) rapporti stilistici col Baschenis, che si vorrebbe sia stato suo allievo.
In un altro gruppo di ritratti virili a tre quarti o a mezza figura (Valsecchi, tav. XVII, figg. 32, 33) databili intorno al 1660, cui va avvicinato un ined. Busto di donna di raccolta priv. lombarda in origine raffigurante una Santa, interviene l'esigenza di trarre delle notazioni psicologiche che modificano notevolmente la visione naturalistica, mentre l'esecuzione pittorica ricerca una resa più delicata e più serica. La risonanza sentimentale e il significato stilistico di questi esemplari dimostrano che il C. fu attento alle trasformazioni della pittura milanese, che nei decenni centrali del Seicento ebbero il maggiore rappresentante, anche nella ritrattistica, in Carlo Francesco Nuvolone.
Il Tassi (p. 246) riferisce che il C. morì il 10febbr. 1679 a Bergamo.
Ebbe quattro figli di cui due furono sacerdoti, (di Giovanni Battista esiste menzione nell'Archivio vescovile di Bergamo). Giuseppe e Antonio seguirono la strada paterna. Il biografo precisa che Giuseppe nacque nel 1643 e morì nell'83 e fu autore di opere di buona qualità. Dal referto del Tassi (p. 247) risulta che si trattava di dipinti di "mezzana grandezza" (sono citati un Cristo fra i Farisei e una Maddalena) e di quadretti di devozione oggi non più rintracciabili. Antonio, nato nel 1644, morì nel 1682, non senza aver dato prova di particolare talento per la pittura. Un ritratto del padre eseguito a quindici anni è ricordato dal Tassi, così come qualche quadretto sacro.
Fonti e Bibl.: Dall'indice dell'ediz. curata da F. Mazzini (Milano 1969-70), delle Vite de' pittori… bergamaschi [1793] di F. M. Tassi, risultano anche le altre fonti, settecentesche e posteriori, tutte pubblicate peraltro nella stessa edizione. Si veda inoltre: A. Pasta, Le pitture notabili di Bergamo...,Bergamo 1775, pp. 19, 20, 36, 45, 50, 51, 129, 137, 150, 151, 154; L. Lanzi. Storia pittor. della Italia, a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 156; C. Marenzi, Il servitore di piazza della città di Bergamo, Bergamo 1825, p. 25; G. Lochis, La Pinacoteca e la villa Lochis...,Bergamo 1858, p. 198; I. Cantù, Bergamo e il suo territorio, in Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, a cura di C. Cantù e altri, V, 1, Milano 1861, pp. 936, 986, 988 s., 991,1001, 1003, 1011, 1016, 1058; A. Siret, Dictionnaire histor. des peintres, Paris 1866, p. 186; Bergamo, Curia vescovile, E. Fornoni, Note biogr. su pittori bergamaschi [circa 1915-1922], ms., cc. 179-189; G . Maironi da Ponte, Dizionario odeporico..., I,Bergamo 1919, pp. 67, 100, 161, 235; II, ibid. 1920, pp. 7, 12, 93, 121, 194, 197; III, ibid., pp. 8, 62-64, 71, 86, 106, 122; Mostra della pittura ital. del Seicento e del Settecento (catal.), Roma-Milano-Firenze 1922, pp. 65 (vedi R. Longhi, in Scritti giovanili...,Firenze 1961, p. 500; Nugent, 1930); A. Pinetti, Il conte G. Carrara...,Bergamo 1922, ad Ind.; U. Ojetti-L. Dami-N. Tarchiani, La pittura ital. del Seicento e del Settecento alla mostra di Palazzo Pitti, Milano-Roma 1924, p. 58; C. Caversazzi, in Il ritratto ital. dal Caravaggio al Tiepolo..., Bergamo 1927, pp. 131 s., 145-147; M. Nugent, Alla mostra della pittura ital. del '600 e '700, II, San Casciano 1930, pp. 533-537; Invent. degli oggetti d'arte d'Italia, A. Pinetti, Provincia di Bergamo, Roma 1931, ad Indicem; Id., in Encicl. ital., IX,Roma 1931, p. 805; H. Voss, Zur Kritik des Velazquez-Werkes, in Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen, LIII (1932), pp. 46-48; B. 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di Mina Gregori - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 23 (1979)