Cesare Maggi (Roma, 1881 – Torino, 1961)
Nacque a Roma il 13 genn. 1881 durante una tourneé dei suoi genitori, Andrea e Pia Marchi, attori nella compagnia Bellotti-Bon.
Venne indirizzato agli studi classici, che svolse tra Firenze e Lucca; ma all'età di sedici anni iniziò la sua formazione artistica presso lo studio di Vittorio Corcos a Firenze e, nel 1897, presso quello di Gaetano Esposito a Napoli. Nel 1898 avvenne il suo esordio pubblico in occasione della LII Esposizione annuale della Società di belle arti di Firenze con i dipinti Occasi di novembre mesti (Carducci) e Almeno c'è il fuoco, acquistato da un privato. Nello stesso anno si recò a Parigi, dove frequentò l'accademia del pittore Fernand Cormon. Rientrato in Italia, nel 1899 assistette alla mostra commemorativa in onore di Giovanni Segantini al palazzo della Società di belle arti di Milano, che fu una vera rivelazione per Maggi., affascinato dalla luce della pittura segantiniana, al punto da volerne carpire la tecnica in loco. Per questo motivo si trasferì, nello stesso 1899, nell'Engadina, dove già Segantini aveva lavorato in completo isolamento. Il soggiorno però si interruppe bruscamente nell'aprile del 1900, per la morte, a Roma, della madre. Dopo un breve periodo a Torino, riprese le sue sperimentazioni dal vero a Forno Alpi Graie, in provincia di Torino. Sempre nel 1900 a Milano stipulò un contratto in esclusiva con il mercante Alberto Grubicy, che sancì la sua piena appartenenza al gruppo divisionista. L'anno seguente conobbe Giacomo Grosso, che lo introdusse al Circolo degli artisti e alla Promotrice delle belle arti di Torino. Sempre nel 1901 prese parte alla XLIII Esposizione della Società di incoraggiamento alle belle arti al Circolo degli artisti di Torino. L'anno successivo ottenne la sua prima personale al palazzo della Società di belle arti di Milano, nell'ambito della rassegna di pittori divisionisti organizzata da Grubicy.
In questa occasione presentò solo dipinti di soggetto montano, dando avvio a quella fama di "pittore della montagna", alla cui elaborazione contribuì l'abilità commerciale e promozionale di Grubicy, che pesò notevolmente sul giudizio della critica anche dopo la fine della stagione divisionista e del rapporto di Maggi con il mercante, nel 1913. Il contratto con Grubicy gli imponeva una produzione a ritmo serrato di dipinti. Tale condizione determinò una sorta di discrimine all'interno della sua produzione tra le opere destinate al pubblico, di buona fattura ma di scarsa ricerca, e quelle destinate alle esposizioni ufficiali, in cui tentò di innovare in senso personale il linguaggio divisionista.
Nel 1904, dopo aver sposato Anna Oxilia, dalla quale ebbe due figlie, Giovanna e Pia, si trasferì nella località montana La Thuile, in Val d'Aosta, per approfondire lo studio dal vero.
Nel 1905 presentò il dipinto Mattino di festa (Marini, 1997, tav. XI) alla Esposizione internazionale di Venezia, acquistato dalla New South Wales Gallery di Sidney e successivamente intitolato Val d'Aosta. Italia. Nel 1907 esordì in ambito internazionale al Salon des peintres divisionnistes italiens a Parigi e fu invitato a partecipare all'Esposizione internazionale di Venezia, evento che segnò un momento importante nella sua carriera. Gran parte della critica colse la maturità ormai acquisita; una delle sue opere esposte, La prima neve (ibid., tav. XV), fu contesa da due prestigiosi musei, il Civico Museo Revoltella di Trieste e la Galleria nazionale d'arte moderna di Roma, che acquistò infine il dipinto. Si aprì così un periodo particolarmente felice, ricco di partecipazioni e riconoscimenti in importanti rassegne italiane ed estere. Nel 1908 fu presente alla V Esposizione d'arte italiana, itinerante in America meridionale; l'anno seguente si aggiudicò la medaglia d'oro di seconda classe alla X Internationale Kunstausstellung al Glaspalast di Monaco di Baviera. Sempre nel 1909 partecipò alla LXXIX Esposizione internazionale della Società amatori e cultori di belle arti di Roma e alla VIII Esposizione internazionale della città di Venezia, cui partecipò anche nel 1910. Alla Esposizione internazionale di Roma del 1911 presentò L'ultimo pascolo (ibid., p. 95 fig. 120). La sala personale alla X Esposizione internazionale della città di Venezia del 1912 segnò una nuova svolta nella sua carriera.
Per un anno l'artista concentrò gli sforzi su questo evento, che gli offriva l'occasione di riscattarsi dal marchio di "pittore della montagna" e nel contempo di mostrare il suo progressivo allontanamento dai modi divisionisti. In questa circostanza espose, infatti, oltre a opere di soggetto montano, anche una marina, Il mare, e quattro ritratti. La critica, polemica con l'istituzione per l'elevato numero di sale personali, non fu particolarmente benevola con lui. Maggi ottenne, però, il favore del pubblico, favore confermato anche in ambito internazionale in occasione della personale alla galleria d'arte Gerbrands, ad Amsterdam, nel 1913, che gli valse numerose committenze.
Sempre nel 1913 Maggi lasciò La Thuile per stabilirsi definitivamente a Torino e per chiudere così la sua stagione di sperimentazione divisionista. Tuttavia, alla Biennale di Venezia del 1914, presentò ancora, accanto a opere come il Ritratto della contessa Olga Stenbock Fermor, vicino alla maniera di Grosso, un'opera di matrice segantiniana come Serenità (poi titolata L'ombra: ibid., tav. XLII). La chiamata alle armi, nel luglio del 1915, non comportò l'interruzione della sua ricerca. Anzi, sia in montagna (con il 3 reggimento alpini) sia in mare (venne nominato commissario di bordo e imbarcato anche per rotte internazionali) ebbe modo di perfezionare il suo stile; e la sua pennellata divenne più ampia e distesa, soprattutto nelle marine. Congedato nel 1919, tornò a Torino. L'anno successivo fu nuovamente alla Biennale di Venezia, dove espose prevalentemente ritratti. La sua attività espositiva riprese intensa e foriera di nuovi successi, come l'acquisto, alla I Primaverile di Fiamma (Roma, 1922) del dipinto Chiesetta alpina (Marini, 1997, tav. LXXI) da parte della Galleria nazionale d'arte moderna. Nello stesso anno, il Maggi conobbe a Milano il suo nuovo mercante, Antonio Sianesi, con il quale riprese a dipingere diversificando, come in passato, la propria produzione tra le opere destinate al mercato e quelle più propriamente di ricerca. Nel 1926 giunse un nuovo, importante riconoscimento con l'acquisto nel corso della LXXXIV Esposizione nazionale della Promotrice delle belle arti di Torino del dipinto Neve da parte della Galleria civica di Torino, la cui politica di acquisizioni era stata oggetto di una forte polemica da parte dell'artista stesso nel 1923. In questi anni lo stile del Maggi subì l'inevitabile influenza della corrente Novecento, anche se ciò non comportò una vera adesione al movimento. In realtà la confluenza verso lo stile novecentista sembrò l'approdo naturale della sua ricerca, in termini sia di soggetto sia di stile, laddove la sua pittura, chiusa la fase divisionista, si era indirizzata sempre più verso una maggiore solidità nell'impianto compositivo.
Nel 1935 fu nominato supplente di Cesare Ferro alla cattedra di pittura dell'Accademia Albertina di Torino. L'incarico segnò l'inizio della sua carriera di insegnante, che continuò ininterrotta fino al 1951 presso l'istituzione torinese e, fino alla morte, in forma privata. Parallelamente proseguì la sua attività espositiva presso numerose rassegne nazionali. Oltre alla continuativa partecipazione alla Biennale di Venezia, dove ottenne una nuova sala personale nel 1940 e dove espose anche nel 1942 e nel 1948, va ricordata la sua presenza, nel 1939, al primo Premio Bergamo e al primo Premio Cremona. A quest'ultimo fu presente anche negli anni successivi, riscuotendo sempre un grande successo; nella prima edizione vinse il terzo premio, l'anno successivo, il secondo e, nel 1941, vinse il primo premio con il trittico di intonazione retorica Italica gens (ibid., fig. 97).
Nel 1947 fu nominato accademico di S. Luca. Nel contempo si diradarono i rapporti con il mercante Sianesi e nacque una nuova collaborazione con i galleristi Fogliato, presso i quali iniziò a esporre frequentemente, anche accompagnato dagli allievi, grazie ai quali la sua pittura mantenne sempre una certa freschezza, nonostante il ritorno al tema della montagna. Nel 1953 fu pubblicato il primo studio sistematico della sua opera, una monografia curata da Anna Maria Bounous. Nello stesso anno, con la partecipazione alla mostra Peintres du Piémont à Marseille, si chiuse la sua attività espositiva all'estero. I problemi di salute, aggravati dalla depressione seguita alla morte della moglie nel 1957, e alcune polemiche da lui suscitate (come quella per il mancato invito alla Biennale di Venezia del 1952), contribuirono a diradare i suoi impegni espositivi. Nel 1959 la grande retrospettiva Figure e paesaggi di C. M. alla galleria della Gazzetta del popolo a Torino segnò la sua definitiva consacrazione pubblica.
L'11 maggio 1961 morì a Torino.
Fonti e Bibl.: E. Piceni - S. Reberschak, Catalogo Bolaffi della pittura italiana dell'Ottocento, Milano 1964, s.v.; T. Fiori, Archivi del divisionismo, Roma 1968, I, p. 397; L. Mallé, I dipinti della Galleria d'arte moderna. Catalogo, Torino 1968, pp. 211 s.; A.M. Damigella, C. M., in Archivi di arte italiana contemporanea. Galleria nazionale d'arte moderna. Pittura e scultura del XX secolo, Roma 1981, pp. 72 s., 204, 218; G.L. Marini, C. M., Cuneo 1983; F. Fergonzi, in La pittura in Italia, Il Novecento/1, II, Milano 1992, p. 942; Il Premio Bergamo 1939-1942. Documenti, lettere, biografie (catal., Bergamo), a cura di M. Lorandi - F. Rea - C. Tellini Perina, Milano 1993, pp. 229 s.; G.L. Marini, C. M. Un divisionista in Valle d'Aosta, Milano 1997; Le seduzioni della montagna: da Delacroix a Depero (catal., Torino), a cura di M. Vescovo, Milano 1998, pp. 155 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 555.