Francesco Della Questa (Napoli 1639 - 1723) pittore probabilmente d’origine spagnola, fu, secondo il De Dominici, allievo di Giovan Battista Ruoppolo, anche se lungo l’arco della sua lunghissima attività, che protrude in pieno Settecento, per oltre due decenni, i suoi modelli ispiratori sono quasi tutti i capostipiti della pittura napoletana, da Giuseppe Recco ad Abraham Brueghel. Fu artista eclettico, sensibile ed abile assimilatore delle più varie esperienze locali e pur venendo collocato dalla critica tra i comprimari nell’ambito della natura morta napoletana, al fianco di Aniello Ascione e Gaetano Luciano, talune volte si esprime ad un livello molto alto con un suo stile personale, riconoscibile dall’occhio esperto.
Il biografo nel parlare della bottega del Ruoppolo ci rammenta del Nostro:”ed oltre dell’altre cose, che imitò assai bene dal naturale, fece eccellentemente le verdume, laonde veniva in tal genere molto lodato; perciocché avendovi fatto studio particolare, aveva in quella parte superato il maestro, e però cresciuta la sua fama, fu impiegato da vari nobili, che vollero adornare le stanze con sue pitture, essendo in quel tempo gran dilettanti di pittura, grandi amatori delle belle arti. Per la qual cosa egli fu molto impiegato e molto frutto trasse da sue pitture, col quale si fabbricò una casa alla calata del ponte della strada di Chiaia, ove decorosamente visse, amato da tutti coloro che lo conobbero per le sue molte bontà, e soprattutto una vera integrità nel contrattare e mancò fatto già molto vecchio a 6 gennaio 1724”(data inesatta come vedremo in seguito).
Firmò quasi tutti i suoi lavori e ciò ha permesso alla critica di redigere un catalogo abbastanza ampio della sua produzione, che si protrasse per decenni, anche se è difficile stabilire una precisa cronologia per la mancanza di date e di documenti.
Il suo nome esatto è Questa come ben si evince dalle non rare firme e non Quosta come segnalato dal biografo, anche se noi lo indicheremo con la consolidata dizione di Della Questa, in accordo con alcuni documenti d’archivio reperiti dal Prota Giurleo.
Nasce a Napoli da tale D. Blasio nel 1639, come si evince nel suo secondo processetto matrimoniale e muore il 4 novembre del 1723, come indicato nei registri della Corporazione dei pittori. Si sposò due volte, una prima volta nel 1639 e, divenuto vedovo, di nuovo nel 1689, quando dichiara di avere cinquanta anni.
Nel 1666 risulta iscritto alla Corporazione dei pittori, della quale fu prefetto nel biennio 1685 – 87.
Nelle sue opere più antiche egli appare tributario, più che del Ruoppolo, dei Recco, Giacomo e principalmente Giuseppe, come nel Vaso con fiori, già in collezione Caracciolo d’Aquara(tav. ), o nella composizione Pesci, molluschi e crostacei(tav. ), in cui le varie specie, dalle triglie alle orate, dai cefali ai molluschi, sono rappresentate in maniera confusa in riva al mare, senza quel rigore e quella vivida lucentezza ottica che fa riconoscere al primo sguardo le tele di Giuseppe Recco.
La sua produzione fu certamente cospicua ed è testimoniata dalla presenza nella collezione del principe di Ischitella di ben quarantotto sue nature morte, mentre per quel che riguarda le sue scelte iconografiche, che comprendevano fiori, frutta, ortaggi e fauna marina, una migliore conoscenza da parte della critica si è avuta grazie alla pubblicazione da parte del Labrot di numerosi inventari di famiglie che possedevano suoi dipinti e tra queste ricordiamo: Alarcon, Bonito, Cavallino, Gagliano, Pignatelli e Suarez.
I suoi quadri più spettacolari fanno parte di quella serie di quadroni allestiti per la festa del Corpus Domini nel 1684, organizzata dal marchese del Carpio, viceré di Napoli. Al ciclo di tele, pare quattordici, preparate sotto il coordinamento di Luca Giordano, collaborarono i maggiori specialisti di natura morta, ognuno nel suo settore, da Giuseppe Recco ad Abraham Brueghel, da Giovan Battista Ruoppolo a Francesco Della Questa, la cui fama nel rappresentare ortaggi era da tutti acclarata. Diamo di nuovo la parola al De Dominici:” I pesci e le cose dolci con fiori furono dipinti dal Cav. Giuseppe Recco, le frutta e fiori dall’eccellente pittor Fiammingo Abram Brueghel e da Gio. Battista Ruoppoli, famoso in tal genere, e nelli stovigli di rame; i frutti di mare e l’erbe ortensi da Francesco della Questa e gli animali con le figure di Luca Giordano: onde fu allora più bella la mostra che fecero questi quadri, che medesimi 4 altari, che sogliono essere famosi in quella giornata per la magnificenza e per la copia meravigliosa di argenti.
Egli partecipò all’esecuzione in due tele(fig. 1 - 2), già in collezione Podio, che furono esposte alla grande mostra sulla pittura italiana del 1922 a Firenze. Si tratta di composizioni all’aperto eseguite con una pennellata morbida, che fonde tutti gli elementi nel paesaggio con brani di competenza dell’ortolano, realizzando dei lussureggianti trionfi di ortaggi, apice della sua attività, nei quali è stupefacente l’impatto visivo dei vari elementi rappresentati “che articolano con estrema energia visiva le masse di frutta ed ortaggi nel primo piano di entrambe le tele” (Lattuada), che sembrano quasi trasmetterci il sapore e l’odore degli stessi.
In entrambe i quadri, di grandi dimensioni, la combinazione tra le figure e gli elementi di natura morta viene esaltata da una maestosa articolazione del fondale, rara a trovarsi nella coeva pittura di genere italiana, che sembra recepire in pieno le invenzioni di Frans Snyders, che modernizzò in senso barocco le tradizionali composizioni cinquecentesche di autori come Joachim Beuckelaer o Frans Valckenborck.
Il Della Questa è artista che cresce nella considerazione degli studiosi ogni qual volta è proposta all’attenzione della critica qualche sua nuova opera, facendolo assurgere ad un gradino più elevato nella folta schiera dei seguaci del Ruoppolo.
Alla recente rassegna Ritorno al Barocco erano esposti ben tre dipinti del Della Questa, tra cui una Natura morta di pesci, molluschi e crostacei(tav. 1 ), siglata, che fu già apprezzata nel 1984 alla mostra Civiltà del Seicento.
I vari tipi di pesce sono definiti con precisione e riusciamo agevolmente a distinguere: triglie, cefali, orate, una razza, molluschi, crostacei e rametti di rosso corallo, tipico di Torre del Greco, mentre altro pescato è collocato in una caratteristica spasella. Sulla sinistra un modesto squarcio di luce con all’orizzonte una piccola imbarcazione a vela.
La fonte ispirativa di Giuseppe Recco è mutata in una parlata più divulgativa ed accattivante, con finalità prettamente descrittive, in linea con una trasformazione che subirono i soggetti marini dopo la permanenza in città di Abraham Brueghel e gli aggiustamenti fastosamente decorativi derivati dalla parlata giordanesca.
Ben diverso impatto visivo possedeva la celebre Natura morta con pesci, molluschi ed una tartaruga(fig. 3), firmata, già in collezione Sestrieri a Roma ed eseguita in collaborazione col Giordano, che sigla la tela ed esegue le figure, mentre sulla scena irrompe una luce abbagliante proveniente da un’ampia apertura di panorama marino con speroni di rocce, promontori ed il mare che penetra nelle insenature.
Strettamente collegata ai dipinti precedenti è la Natura morta di pesci(tav. 2), siglata, della collezione Naschi di Caserta, nella quale le varie specie di pesci sono adagiate su due distinti piani costituiti da rocce in maniera apparentemente confusa, mentre in alto si intravedono gli attrezzi per la pesca su uno sfondo appena accennato, da cui proviene una pallida luce, che si riflette sulle squame, dando luogo ad una variegata tastiera cromatica, memore della lezione dei Recco grandi specialisti del settore.
Anche nell’Interno di cucina(tav. 3 ) dell’antiquario Carignani, una specialità cara a Giovan Battista Recco, compaiono su una tavola un gruppo di pesci ed un gamberone, oltre ad una torta, degli ortaggi, dei recipienti di rame ed una brocca, che compare identica nell’unica Natura morta(tav. 4) firmata per esteso e datata(purtroppo con la data non leggibile) comparsa recentemente in asta e della quale ci scusiamo per la pessima foto.
Nella Natura morta di fiori e frutta con un giglio vivo(tav. 5) transitata sul mercato antiquario a Spoleto, una vera e propria replica autografa con varianti, identica anche nelle dimensioni, della celebre tela(fig. 4) della collezione Steffanoni di Bergamo, illustrata da Causa in occasione della mostra sulla natura morta del 1964, dove fu esposta, il pittore inclina ai modi fastosamente decorativi di Abraham Brueghel, divenuto oramai un punto di riferimento per la natura morta all’ombra del Vesuvio, con una libera trascrizione delle sue opere più famose, anche se con un linguaggio più fermo ed arcaizzante e con una serrata coerenza compositiva. Le due tele sono collocabili sul finire del secolo d’oro e dimostrano come il Della Questa, nel suo linguaggio rinunci alla più antica contenutezza formale per inquadrarsi appieno nel movimento barocco.
Della Questa fu anche abile realizzatore di Vasi di fiori, una specialità portata al successo da Giacomo e Giuseppe Recco e da Paolo Porpora. Il suo dipinto più famoso è quello(tav. 6) già in collezione Caracciolo d’Acquara, tra le sue opere più antiche, che fu esposto alla mostra sulla natura morta italiana del 1964, impostato in maniera rigorosa con una gran cura nella definizione cromatica dei fiori raffigurati, posti in vaso trasparente dai riflessi naturalisticamente luminosi. Ad esso vanno collegato quelli già in collezione Moscati a Roma e nel museo Correale(fig. 5 ) anche essi firmati.
Di una fase successiva sul finire del secolo, già informato delle prime rilevanti prove del Belvedere, va collocata una coppia(tav. 7 - 8), di collezione privata, pubblicata dal Pacelli ed esposta poi alla mostra Ritorno al Barocco, nella quale i fiori sono sapientemente distribuiti dentro i vasi di cristallo dai riflessi blu, permettendo ai garofani bianchi e rossi, alle rose senza spine, alle campanule, ai fiori d’arancio ed alle dalie, tutti nel pieno della fioritura, di stagliarsi sul fondo scuro.
Nella pinacoteca provinciale di Salerno si conserva, purtroppo in pessimo stato di conservazione, una Natura morta di ortaggi(tav. 9) di autografia certa per palmari raffronti verso la tela in collezione Steffanoni(fig. 4 ) e soprattutto verso i due spettacolari bodegon(tav. 10 - 11) della raccolta Marqueses de Viesca di Madrid, in uno dei quali compare al crepuscolo la stessa apertura di paesaggio.
La tela salernitana, pur condividendo gli stessi ortaggi appartiene ad una fase cronologica posteriore, già pienamente settecentesca come tenne a sottolineare Pavone:”gli elementi raffigurati, più che risultare sovrapposti in maniera disorganica e occasionale, appaiono distribuiti in base ad un metro compositivo composito rivolto ad una delineazione puntuale degli ortaggi, quasi messi in posa, individuabili nelle loro peculiarità attraverso l’effetto luministico della luce al tramonto. Di qui le semplificazioni anche nella visione relativa allo sfondo, che permette maggiore concentrazione sui primi piani, dove tra l’altro prende spicco una fontana sulla destra, vivificata dal getto d’acqua continuo”.
Concludiamo con un’opera, di altissima qualità, che solo la scoperta della firma di Gaetano Luciano, nel corso del restauro, ha espunto dal catalogo del Della Questa.
Si tratta di una Natura morta di frutta ed ortaggi(tav. 12) che scovai dimenticata presso un rigattiere napoletano e che ritenni certamente autografa per le palmari similitudini nella resa degli ortaggi con quella in collezione Steffanoni(fig. 4 ) della quale ipotizzai potesse essere il pendant, presentando le identiche misure.
In questo spettacolare trionfo di ortaggi riconobbi la collaborazione di Luca Giordano per le figure alla pari delle due tele(fig. 1 - 2 )in collezione Zacchia Rondanini a Bologna e poi Podio, nelle quali il pennello del Giordano è documentata.
Nella composizione un fanciullo cerca di impedire ad un asino di mangiare gli ortaggi, mentre un giovane di bell’aspetto, con un catino di legno, assiste impassibile alla scenetta. Gli agrumi hanno una buccia rugosa e bernoccoluta, che ricorda le antiche esperienze di Luca Forte, mentre le carote, i cavolfiori, le rape ed i sedani, rese da un “eccellente pittore di verdume” si intrecciano con un’energia visiva prorompente e con una tale veridicità da stuzzicare l’appetito dell’incauto asinello.
Esegui delle ricerche nel mio archivio e scoprii che il quadro era passato in asta nel dicembre del 1930 presso la Galleria Corona di Napoli con un’errata attribuzione ad Abraham Brueghel con la partecipazione di Van Bolen per le figure. Certo della nuova attribuzione ne consigliai ad un amico l’acquisto ed entusiasta del dipinto gli dedicai la copertina del sesto volume, dedicato alla natura morta, della mia opera sul Secolo d’oro della pittura napoletana. Fino a quando, senza nulla togliere al valore della tela, sullo zoccolo di pietra a sinistra, mimetizzato dai carciofi, comparve la firma del meno noto collega.
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