Franco Atschko nacque nel 1903 a Trieste da madre di origine polacca e padre toscano che però non lo riconobbe trattandosi di una relazione segreta.
Ospitato dalla Pia Casa dei Poveri nel 1916, dato che la madre, attenta alla sua istruzione, non poteva curarsene per le difficoltà finanziarie, dette immediatamente prova di precoce talento nella scultura tanto che, nel 1917, realizzò un busto dell'imperatore Francesco Giuseppe. Grazie all'interessamento del Direttore dell'Istituto si iscrisse all'Accademia di Vienna e in seguito frequento quelle di Venezia e Roma. Con l'avvento del fascismo, il suo nome venne italianizzato in Asco e fu amico e inizialmente maestro del più giovane Marcello Mascherini. A Trieste realizzò le figure a bassorilievo per il coronamento della Stazione Marittima e per la Capitaneria di Porto, mentre assieme a Mascherini completò le statue di giuristi romani sul palazzo del Tribunale. Sempre nel camposanto si rese protagonista della realizzazione di numerosi monumenti funebri. Nei primi anni Trenta abbandonò Trieste per approdare a Milano, ove divenne uno dei principali artefici della decorazione scultorea del Cimitero Monumentale di Milano con numerosi interventi. Dopo aver partecipato alla Biennale di Venezia nel 1941, si ritirò in un lungo isolamento dal quale uscì con una originale polemica esposizione triestina nel 1949. Personalità schiva e artista isolato nel tumulto artistico del dopoguerra, compì, nella sua città natale, la figura della Vergine dorata sulla sommità della colonna di Piazza Garibaldi. Si spense a Milano nel 1970.
Franco Asco.
Presentazione di Franco Passoni per la mostra al Museo di Milano del 1979.
La mostra di Franco Asco, che sono lieto di presentare negli ambienti del Museo di Milano,in via Sant'Andrea 6, organizzata dalla Ripartizione Cultura e Spettacolo del Comune, ha ilsignificato di un atto di giustizia dovuto allo scultore triestino che, come e noto, tu cittadino adottivo della nostra città sin dal 1933.
Franco Asco, prima della italianizzazione del suo nome, avvenuta ai sensi di un Decreto Ministeriale, in data 19 luglio 1929, si chiamava: Franco Atschko e vantava, per parte di madre, una discendenza di origini polacche. Asco solo in età adulta e per proprio conto, venne a sapere che suo padre era Francesco Mosti, un nobile toscano di Massa Carrara.
In anni addietro e prima della nascita di Franco, la madre era stata sposata e dal marito aveva avuti cinque tigli. Il consorte soffri una grave forma tubercolare che, in pochi anni, attaccò anche i cinque bambini. Uno dopo l'altro, il marito e i figli, morirono e la donna rimase sola.
In seguito a una relazione segreta, la donna ebbe questo unico tiglio, che curo e amo con attenzioni speciali e grande gelosia.
Franco Asco nacque a Trieste il 1 giugno 1903. Ebbe vita avventurosa.
Frequentò la prima e la seconda classe elementare a New York, prosegui poi gli studi in Italia. Fin dall'adolescenza manifestò una chiara vocazione e disposizione alle arti. Nel 1915, all'età di dodici anni, stupì gl'intenditori e la critica con un pregevole ritratto dell'Imperatore d'Austria Francesco Giuseppe. Grazie a questo lavoro venne poi ammesso all'Accademia di Belle Arti di Vienna, dove si diplomo con protitto. Nel 1923, a Trieste, organizzó con successo la sua prima mostra personale e, nello stesso anno, vinse il concorso “De Ritmeyer”, aggiudicandosi un contributo in danaro dal Museo Civico Revoltella di Trieste, che gli permise un ulteriore perfezionamento all'Accademia di Belle Arti di VenezIa.
Ho conosciuto Franco Asco nel 1950, in occasione della sua mostra personale milanese.
Diventammo amici e ci trequentammo. Franco Asco aveva una figura fisica di bella presenza: era alto, snello, stempiato, occhi chiari, viso con lineamenti aristocratici. Nella persona era ordinato, vestiva con gusto e aveva modi gentili e democratici.
Sembrava un attore. Nella conversazione era in genere molto pacato, misurato, introverso.
A volte si accendeva e rivelava, in quelle rare occasioni, quelle insospettate agressivita che sono tipiche delle persone timide.
A Milano ha vissuto e operato per oltre trentacinque anni, abitava in via Appiani, con la moglie Gin che adorava e un cane «doberman». Non aveva figli.
La sua e stata una storia singolare, complessa. Pur avendo qualche colpo di fortuna, fu sempre molto modesto, orgoglioso e generoso. Per Asco la ricchezza era una manifestazione effimera, quasi assurda: sperava sempre nella provvidenza e, qualche volta, curiosamente finiva per ottenerla.
Oltre alla scultura amava moltissimo la musica (suonava il violino) il cinema, il teatro di prosa e quello lirico. Testimone di due Guerre Mondiali, tutta la sua vita è stata senza frivolezze, una lenta continua macerazione sui dubbi e ripensamenti legati alle forme e ai linguaggi dell'arte.
La figura predominante nel corso della sua esistenza, fu quella di sua madre: una donna di forte carattere, a volte tiranna, altre volte dolcissima e comprensiva. Asco l'amava moltissimo e la rispettava. Nel 1935 la ritrasse, modellando la testa della donna con preziosità plastiche e stilizzazioni estetiche, tuttavia uno del suol maggiori capolavori è il «ritratto
della madre» a figura intera, con le mani abbandonate sul grembo, Il corpo possente nei volumi, la testa espressiva curata nei dettagli, con la bocca aperta nell'atto di parlare.
Questa scultura e del 1949.
Come scultore Asco era un tecnico straordinario, padrone del mestiere.
Conosceva tutte le proprietà tecnologiche delle materie che usava con perizia e pertinenza.
Come uomo era sempre molto tormentato e malinconico.
Inoltre non era mai pienamente soddisfatto del suo lavoro, spesso distruggeva le sue sculture o le dimenticava nelle gallerie d'arte, ai concorsi ai quali partecipava e, talvolta, in casa di amici. Questo curioso atteggiamento psicologico gli nasceva soprattutto dal disprezzo verso il danaro e la proprietà delle cose, la sua era una natura umile e francescana. Un'altra difficoltà gli nasceva dalle commissioni dei lavori, poteva eseguirli solo nella sua assoluta
libertà di scelta estetica ed espressiva. La scultura la sentiva in grande e questo problema delle dimensioni gli procurava notevoli complessità. Le sue opere di piccolo formato sono in realtà dei bozzetti per delle grandi realizzazioni, anche se lui le eseguiva con una meticolosità e una perfezione assoluta. Se, per esempio, non avesse avuto questi blocchi psicologici
e si fosse adattato a fare delle minisculture, ne avrebbe certamente vendute moltissime, ma non tu cosi.
Nelle sue sculture prevalgono due sentimenti opposti e contrari: in alcune si nota un sentimento tragico e una volontà di lotta, in altre c'è il senso della stlizzazione e della sublimazione poetica. Fa eccezione per il peso delle masse e dei volumi, espressi con rara forza, l'opera « Uomo in riposo», un bronzo del 1945. Le asciutte cadenze che definiscono questa figura nello spazio interno della sua fisicità, sembrano affiorare da una memoria
cosciente dell'antico, tuttavia a ben guardarla si avverte nella scultura l'acuta analisi dell'uomo moderno, il senso drammatico e possente dell'abbandono, nella corposita massiccia dei volumi.
Sara bene avvertire che cronologicamente è quasi impossibile seguire l'evoluzione e lo sviluppo linguistico di Asco. Grosso modo le sue sculture risentono, agli inizi, di un naturalismo realista, subentra in un secondo tempo la stilizzazione formale venata di simbolismo e infine la conquista di una spazialità astratta piena di libera invenzione e di rigore, compositivo.
Tre aspetti diversi da un punto di vista linguistico, uniti da un unico problema: quello che riguarda la necessita della libera espressione dell'artista.
A qualcuno potrà apparire pedante questo mio punto di vista ma, in effetti, Asco era insofferente ai condizionamenti che sono connessi alla creatività delle sculture e, nello stesso tempo, scrupolosamente osservava le regole apprese nelle Accademie, nel rigido clima mitteleuropeo. Inoltre, all'interno di questo discorso, aveva una grande parte la figura della madre, con le sue paure e le sue ansie, la difesa dell'unico figlio, tutto suo e d'ingegno così vivace. In una lettera del 1930, scrivendo alla mamma, Asco diceva: «ti ricordi, quando mi dicevi: quest'arte ti porterà sventura? E quando ti rendesti conto che a nulla potevano valere le tue preghiere e i tuoi consigli, ti adoperasti con tutte le tue torze per aiutarmi...» Fin dalla più tenera età Asco si senti combattuto da sentimenti contrapposti e dal bisogno insoddisfatto di fare delle scelte. Solo più tardi, con la maturità, gli fu chiara una sintesi delle
arti plastiche, incentrata sull'architettura formale, che doveva portarlo, a quella spazialità astratta, di cui abbiamo gia detto piu sopra.
E’ a tutti noto che Il problema delle sculture e strettamente connesso alla funzione e destinazione oggettiva delle stesse. La scultura in passato, raramente è stata autonoma e, ancora oggi, necessita di una sua collocazione urbanistica negli spazi esterni, oppure di una sua collocazione ambientale negli spazi interni. Talvolta è anche un elemento decorativo
inserito negli edifici. Le sculture quando vengono inserite in luoghi con particolari caratteristiche, vuoi tecniche, materiche, spaziali, ambientali e di colore, assolvono alla funzione della loro natura oggettuale nell'insieme urbanistico e architettonico.
Questo insieme di problemi si contrappone alla libera creatività dell'opera d'arte e Asco, con il suo individualismo esasperato, precipitava in continue crisi snervanti, in quanto concepiva la scultura a partire da se stessa, su se stessa e nascendo da se stessa, almeno come immagine e si ribellava a tutti i condizionamenti che potessero turbare un suo sentimento, un suo stato d'animo.
Molto lo aiuto la moglie Gin, la sua tenera compagna, una donna bellissima, ricca d'istinto, innamorata e comprensiva, dolcissima e piena di vita.
Come tutti gli accadimenti strettamente connessi alla persona di Asco,
anche Il loro accoppiamento inizio per avventura e per vertiginosa passione, ma in breve divenne un legame profondissimo e radicato. Gin era stata una cantante lirica di grandi qualità vocali e di sicuro successo. Il suo temperamento era vivace, estroversa e simpatica. Aveva doti e presenza che la rendevano gradita e ammirata. Asco era geloso e, come tutti gli artisti,
possessivo. Gin fini con il dedicarsi interamente al marito e la sua costante e vigilante presenza ha molto aiutato lo scultore. Gin era il suo unico tramite con il mondo e la realtà, la confidente segreta, il baluardo e la ragione di vivere. Come tutti i veri tesori il suo apporto è stato grande e, nel contempo, impercettibile a coloro che guardano le cose con occhi opachi. Gin è stata la parte poetica d'ogni cosa sofferta e intimamente sentita da Asco. E’ presente in tante opere dello scultore e in quel ritratto di marmo « Testa di fanciulla», del 1965, che sembra un grande cammeo. Per coloro che sanno vedere, Gin è presente nel «Sogno di maternita», un bronzo del 1951, che e certamente il capolavoro più altamente poetico di Asco e anche in quell'altro bronzo stilizzatissimo che s'intitola «Anelito di maternità» del 1967.
La mancanza di propri figli fu un cruccio, specialmente sofferto da Gin, tuttavia la loro solitudine li tenne maggiormente uniti tra loro.
Anche se nella biografia l'inventario delle mostre è certamente incompleto, in quanto l'artista ha lasciato pochi documenti sulla sua attività, Asco ripropose in più occasioni al pubblico, i risultati del suo lavoro in una serie di esposizioni. Tuttavia le sue mostre non avevano continuità e certi lunghi silenzi erano occupati da crisi, oppure da importanti commissioni per lavori monumentali d'impegno.
Dopo questa prima mostra retrospettiva di Franco Asco, certamente altre ne seguiranno. Noi ci aguriamo tin da adesso che le ricerche filologiche, biografiche e i contributi critici del colleghi possono essere approfonditi e che, inoltre, insieme alle disquisizioni, possano portare anche a un inventario più aggiornato della produzione di Asco che, in questa occasione, e stato selezionato e raccolto, tuttavia accontentandoci, di quanto e stato possibile ritrovare e che sappiamo incompleto.
A tutt'oggi molte sono le opere di Asco disperse nelle collezioni private, presso Enti pubblici e musei, di cui noi non abbiamo notizia. In questa prima occasione ci sia consentito di rivolgere un appello a tutti i possessori di opere dello scultore scomparso, pregandoli di aprire un contatto con la moglie, signora Gin Asco, e di documentarla.
Per esempio sino agli ultimi giorni di ricerca e di organizzazione di questa mostra e prima di dare alle stampe le bozze di questo catalogo, noi non sappiamo ancora con certezza assoluta se riusciremo a disporre di qualche esemplare di quella stupenda serie «astratto-spaziale» di sculture in legno, prodotte da Asco nel 1958. Se avremo la fortuna di poter disporre di qualcuno di quegli stupendi esemplari in legno, documentati in catalogo da foto,
potremo testimoniare ulteriormente la raffinata creatività dello scultore triestino e la determinazione estetica di grande qualità e impegno che distinse l'opera matura di Asco.
Anche se è sempre vissuto ai margini del mercato d'arte, tanto è vero che gli unici mercanti che saltuariamente si sono occupati di lui, furono Filippo Schettini, Enzo Pagani e Renzo Cortina, Asco ha tuttavia avuti molti committenti, sia pubblici, sia privati. Anzi all'interno della sua copiosa produzione artistica si notano numerose sculture, bassorilievi e formelle
di soggetto sacro, funerario e religioso.
Ricordiamo che una stupenda «Madonna», del 1954, ieratica e bloccata nella semplificazione delle masse armoniose, e situata in una piazza di I reste ed eretta sopra una colonna.
Un suo «San Francesco» In marmo, si trova in cima a una guglia del Duomo di Milano, situata nella parte destra dell'edificio religioso, visto dalla grande piazza di fronte al tempio.
La figura del Cristo è stato un altro dei soggetti di Asco e realizzato in epoche diverse. Si osservi la «Crocefissione», un bronzo del 1950, dove la sensibilità del tatto aggiunge dolore al dramma del figlio di Dio.
Di sua personale iniziativa e in maniera quasi cruda e realistica, almeno per la severità del giudizio plasticamente espresse nelle forme esasperate e somiglianti, Asco ha raffigurato la figura di «Pio XII», un bronzo del 1950, quasi a volere indicare le ambiguità di quel papato.
Molto amati e raffigurati i soggetti dei cavalli. La grande purezza plastica e volumetrica di quell'animale, taluni movimenti e certe possibilità espressive connesse all'estetica delle forme, gli hanno fornito materia di riflessione e di studi particolari. Alcuni cavalli in bronzo sono esposti in mostra dalla «Testa di cavallo» del 1967, al «Cavallo che scalcia», «Cavallo accasciato», allo stupendo «Cavallo seduto», tutti dello stesso anno e nella bellezza delle linee che sono un assunto di Asco.
Vi sono poi alcuni nudi di donna che risentono l'influenza di Maillol, rivelano cioè, come in alcune sculture del francese, la pienezza della carne, la ferma dolcezza dei contorni, la florida e calda sensualità femminile, specialmente avvertibile nel bronzo «torso di donna»,
del 1950.
Le cosidette «torme in evoluzione» sono uno dei temi più ripetuti, ogni volta in maniera diversa, del periodo «astratto-spaziale» di Asco, in questi lavori la sua scultura tende alla forma pura, senza alcun riferimento iconografico. Anche i materiali sono da lui scelti in funzione di questa visione, per lo più metalli levigati, curvati o lavorati con estrema maestria in modo o nella maggior parte dei casi, che le composizioni poggino al suolo su un solo
punto e la forma si organizzi intorno a un asse.
Come «struttura» le opere più mature di Franco Asco trovano un riferimento armonico e metafisico con l'architettura. La nota poetica di questi lavori astratti è l’effetto d'immaterialità nello spazio. Con queste evoluzioni linguistiche Asco intendeva rinnovare il suo modo di vedere e di fare scultura, almeno sul piano della lucidità più consapevole, anche perchè queste soluzioni cosi moderne vivevano in lui da sempre nel suo tormentato inconscio, combattute da pregiudizi di tradizione. Certo se tosse stato meno logorato da dubbi interiori
così lancinanti, più capito e maggiormentato aiutato, Asco avrebbe prodotto delle opere ancora più creative, tuttavia il suo talento tu sempre molto fertile e la sua personalità valida e inesauribile.
Giunti a questo punto, sarà bene osservare che Asco fu anche un ottimo disegnatore, tuttavia le sue sculture amava farle direttamente usando materiali plastici. Difficilmente faceva studi preparatori. La maggior parte dei suoi disegni sono dunque opere compiute in se stesse, non traducibili in altre tecniche. Si osservino quei carboncini su carta da disegno, del novembre
1969, belli, raffinati e completi.
Con i critici suoi contemporanei Asco ebbe scarsi rapporti a causa del suo carattere orgoglioso, distaccato, timido e riservato. Oltre con l'autore della presente nota, Asco fu buon amico di Enrico Somaro e di Antonio Morassi, ai quali tece i ritratti. Leonardo Borgese, nel gennaio 1951, gli scrisse una lettera dalla quale riportiamo questo brano rivelatore:
“Come lei sa, noi ci conosciamo ormai da molti anni (non siamo, ahimè, piu giovanetti), siamo coinquilini, ci incontriamo quasi ogni giorno, eppure la nostra conoscenza, fra noi due, e avvenuta si può dire, in questi ultimi mesi: dal 1950 al 1951. Siamo tutti e due dei tormentati, degli ansiosi e dei timidi. E c'è voluta la sua mostra, anzi le sue mostre ci sono volute, perchè la conoscenza diventasse intima e lei svelasse il suo animo a me e io il mio a
lei..” e poi più avanti, gli diceva: “Lei mi ha commosso con la sua sincerità, il suo calore, il suo entusiasmo, col suo desiderio di sentirsi vivo come artista e di tarsi sentire…”
A parte qualche rara e preziosa amicizia, Asco fu un isolato. Gli stralci critici dedicati alle sue opere furono davvero pochi, specialmente per un artista che aveva dedicato una vita intera alla scultura. Solo una trentina di persone, tra critici d'arte e giornalisti, hanno dedicato la loro attenzione alle sculture di Asco, e questo e stato davvero molto poco. Rare volte una carriera d'artista si è conclusa in un finale cosi onesto e intransigente. Tuttavia e lo diciamo con velata amarezza, su tanto lavoro sudato e faticato, giorno dopo giorno,
risposero molti silenzi.
Franco Asco è morto a Milano, il 27 marzo 1970, la mattina di un venerdì santo, colpito da un male incurabile e inesorabile.
Franco Passoni
Agosto 1979.