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LEONOR FINI

Leonor Fini

(Buenos Aires, 1908 ~ Parigi, 1996)

“Alta, slanciata, capelli  e occhi nero profondo, elegante, amante del qui pro quo”: così è descritta Leonor Fini da Max Ernst.
Figlia  di madre triestina e padre napoletano, si trasferisce ancora piccola in Italia: i rapporti fra i genitori erano tesi e la madre torna dalla sua famiglia,  a Trieste, portandosi dietro Leonor. Il padre tenta di rapire la bambina e, per evitarlo, la madre pensa bene di travestirla da ragazzo, capelli corti e pantaloni: in questo modo Leonor può passeggiare indisturbata per la città. Nella casa materna, arredata con statue che riproducono la Venere di Milo e la Nike di Samotracia,  Leonor vive in un ambiente borghese e colto, curata dalla governante slovena più che dalla madre.  Fantasiosa, sognatrice e curiosa,  a quattro anni e mezzo vince il primo premio di pittura: disegna un pollo che cucina un uovo in casseruola. Osserva molto, disegna e dipinge, è affascinata dai quadri preraffaelliti, crea i colori con gli oggetti che trova inventando spesso tonalità particolari, usa ad esempio per le opere la pasta dello strudel che col tempo marcisce. Si sente diversa dai coetanei e osserva le sue pupille  verticali  che sostiene siano quelle di un gatto. L’amore per i gatti sarà un costante ritorno nella sua arte e diventerà un elemento pittorico elaborato nei modi più disparati.
A diciassette anni, ottiene la sua prima commissione da parte di un ministro milanese;  nella città lombarda la Fini incontra i maggiori esponenti dell'arte contemporanea, tra i quali Carrà e De Chirico, dai quali carpisce le regole e le tematiche, e nel 1929 tiene la sua prima esposizione  personale. All'inizio  degli anni Trenta lascia l'Italia per stabilirsi a Parigi, la città destinata ad essere il centro della sua attività, dove espone per la prima volta nel 1932, alla Galleria Bonjean, e dove stringe amicizia con i principali esponenti del Surrealismo. Gran parte della sua pittura contiene elementi surrealisti e la sua vena realista si mescola sempre a elementi bizzarri, onirici  e ad espressioni tipiche dell'inconscio.
Nel 1938 comincia a frequentare Max Ernst, Dalì, Man Ray, Georges Bataille e Paul Eluard ma non accetta tutti i principi surrealisti: in lei il realismo incontra il mondo dell’inconscio e la stranezza e produce metamorfosi che sono vicine al Surrealismo. Negli anni ’40 comincia a farsi un nome e una sua tela, Le Double (1942), diventa popolarissima: la figura
femminile nuda, ricoperta e velata dai lunghissimi capelli, esprime autocompiacimento, narcisismo e l’inquietante senso del doppio.
Nel periodo 1944-47 vive a Roma, il suo atelier sta sul tetto di Palazzo Altieri, all’interno quadri, mobili, materiali e stoffe si mescolano armoniosamente. Organizza una personale al Palazzo delle Belle Arti di Bruxelles e si dedica alle illustrazioni di alcuni libri, tra cui Juliette di de Sade e Sonetti di Shakespeare. Ritrae Jean Genet e Anna Magnani "apportando – come dice Marcel Brion – una metamorfosi che restituisce loro le possibilità misteriose".