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PIETRO DOMENICO OLIVERO

PIETRO DOMENICO OLIVERO

(Torino, 1679 - 1755)

OLLIVERO (Olivero), Pietro Domenico. – Nacque a Torino, parrocchia di S. Tommaso, il 1° agosto 1679 (Cifani - Monetti, 1993, p. 129), figlio dell’intagliatore Francesco di origine ligure (Oneglia) e di una Giovanna, della quale non si sa il cognome, morta il 15 dicembre 1696.
Fu battezzato il 10 agosto successivo.

Il cognome ricorre nei documenti in diverse grafie: Oliverij, Oliveri, Olivero, Olivieri, Ulivieri, Uliveri, Ollivero. Nelle parcelle autografe, nei disegni e nel testamento olografo si firmò sempre Pietro Domenico Ollivero, cognome che compare pure negli atti di nascita e di morte (ibid., p. 177).
Nel censimento di Torino del 1705 (Merlo et al., 1996, p. 34) fu registrato come storpio e in molti dipinti e disegni ritrasse la propria deformità con ironia, un tratto del suo carattere testimoniato anche dalle fonti (Della Valle, [sec. XVIII], 1990, p. 86). Secondo Durando di Villa (1778) fu allievo del pittore e architetto Melchior Baldassarre Bianco e per i suoi quadri dipinse motivi architettonici. Ebbero influsso su di lui anche le opere dei pittori olandesi e fiamminghi Melchior Hamers, Peter Mauritz Bolckman, Abraham Godyn, Jean-Baptiste Abret, Jean Miel, attivi a Torino nella seconda metà del Seicento.
Protetto dal duca e poi re Vittorio Amedeo II di Savoia, ai temi ‘colti’ verso i quali voleva indirizzarlo il suo illustre mecenate (San Martino, 1787, p. 4) preferì le affollate strade e piazze di Torino, dove studiò i caratteri soprattutto dei ceti più umili e da cui trasse costante ispirazione. Assai apprezzato dalla corte e dalla nobiltà sabaude, lavorò senza soluzione di continuità fino agli ultimi anni vita.
Fin dagli esordi della carriera, fu ottimo disegnatore, come testimoniano i disegni conservati nella Biblioteca reale di Torino (inv. 14708-14715) e quelli dell’album del Museo civico d’arte antica della stessa città (inv. 317/DS e ss.); quest’ultimo, in particolare, è costituito da 184 fogli di alta qualità databili fra il 1710 e il 1715 per via di confronti con opere documentate e con lo stesso autoritratto del pittore presente come antiporta nel quale appare in età giovanile. Usato da Ollivero come costante repertorio di temi e invenzioni durante tutta la carriera, tale album ha permesso di identificare molte delle sue opere prive di data e di firma.
Uno dei suoi primi collezionisti fu Pietro Mellarède, ministro dell’Interno di Vittorio Amedeo II, che possedeva 15 sue tele, scalate fra 1698 e gli anni Venti del Settecento, tuttora conservate nel castello di Betton Bettonnet in Savoia. All’interno della collezione Mellarède si conservano le prime due opere del pittore, documentate al 1698: un Cavadenti e La partenza di un buttero per il pascolo (Cifani - Monetti, 2009).
Nelle due tele, di piccole dimensioni, il pittore manifesta uno stile già personale, non ancora scevro tuttavia da asprezze coloristiche e incertezze prospettiche, prossimo a Pieter van Laer, il Bamboccio, a Michelangelo Cerquozzi e a Jean Miel; stile che nel corso della vita aggiornò e arricchì, ma mai sostanzialmente modificò.
Della stessa collezione Mellarède sono due tele datate 1700: un Mercato e una Fiera ambientati fra rovine romane; e ancora altri due dipinti firmati e datati 1706: un Bivacco di soldaticon l’autoritratto del pittore e una Cucina con personaggi (ibid.).
Le tele rappresentano uno dei punti di maggiore vicinanza dell’opera di Ollivero a quella di Alessandro Magnasco e di Clemente Spera, suoi contemporanei e da lui certamente conosciuti, non si sa se di persona o tramite loro opere giunte a Torino. Le nature morte che costellano la Cucina presentano precisi influssi anche dalle operedi Giovanni Domenico Valentini.
In questo stesso periodo dipinse almeno due tele raffiguranti La battaglia di Torino del 1706 (Fasoli, 2006); più volte, durante l’intero arco della sua attività, avrebbe dipinto quadri con temi di battaglie. Ancora per Mellarède, nel 1710 realizzò la Veduta del ponte Nuovo di Parigi, tratta da una incisione di Stefano Della Bella, e una Fiera fuori porta a Torino. Entrambe le opere sono firmate e datate (Cifani - Monetti, 2009); della prima esiste una replica al Museo civico d’arte antica di Torino.
Nel 1711, come risulta dalla sottoscrizione e perizia dei dipinti facenti parte della dote della pittrice Angela Maria Pittetti, detta Palanca, sua allieva, doveva avere una bottega già avviata (Debiaggi, 2004). Nel 1714 fu pagato per quattro mesi di lavori alla Venaria Reale, nel corso dei quali dipinse motivi decorativi raffiguranti 181 vasi di fiori, e nel 1716 per quadri e ornamenti pittorici (perduti) nel palazzo reale di Torino (Cifani - Monetti, 1993, pp. 131, 548).
Nel 1717 appare per la prima volta tra i confratelli della Confraternita dei Ss. Maurizio e Lazzaro di Torino, di cui fu collaboratore, consigliere emerito e benefattore fino alla morte (ibid., p.131).
Nella citata collezione Mellarède si conserva una coppia di dipinti, entrambi siglati con il caratteristico monogramma PDO, usato dall’artista in molte tele; il primo, datato 1718, illustra le gesta di un Ciarlatano, il secondo rappresenta un Pilone miracoloso, uno dei tanti verso i quali era fiorita in quel periodo la devozione a Torino e dintorni (Cifani - Monetti, 2009). Nel 1721 firmò e datò la tela raffigurante Piazza Castello a Torino in inverno con il mercato della legna e saltimbanchi (Cifani - Monetti, 1993, p. 209, n. 79).
In quest’opera l’artista palesa ormai uno stile compiuto e originale, nel quale mostra di aver temperato le iniziali esitazioni stilistiche per passare a quel colorito ‘succoso’ e a quella pennellata sciolta e pastosa che avrebbero suscitato l’ammirazione di Luigi Lanzi (1809).
Gli anni Venti registrano collaborazioni con altri artisti della corte sabauda; tra questi, il pittore di prospettive Massimo Teodoro Michela, per il quale fra il 1722 e il 1724 dipinse le figurine in quadri di prospettive architettoniche (Cifani - Monetti, 1993, p. 548). All’inizio del 1724 dipinse le figurine anche in un quadro di Marco Ricci inviato da Venezia e oggi nel castello reale di Racconigi, rappresentante il Salone del castello di Rivoli. Sempre nel 1724 eseguì due grandi tele per il castello di Rivoli: La festa di S. Pancrazio e La fiera di Moncalieri (opera perduta) per le quali fu pagato la considerevole cifra di 1500 lire (ibid.); La festa di S. Pancrazio (Torino, Galleria Sabauda), in particolare, denota conoscenza precisa delle incisioni di Jacques Callot. Nel 1725 ricevette pagamenti per disegni di una tappezzeria delle arazzerie regie di Torino (ibid.). Fra il 1725 e il 1726 sono attestate regie commissioni a suo favore tra le quali quattro sovrapporte (a oggi irreperibili) da inviare al castello di Chambéry (ibid., pp. 131-133). Nel 1726 fu eletto priore della Accademia di S. Luca di Torino.
Gli anni Trenta furono gli anni della piena maturità artistica e, di conseguenza, del sempre maggior consenso da parte delle più importanti famiglie della nobiltà e della borghesia che collezionavano, numerose, le sue opere. Il prestigio conseguito fu favorito dall’appoggio del primo pittore di corte Claudio Francesco Beaumont (San Martino, 1787, p. 17), tornato definitivamente a Torino da Roma nel 1731, e del potente ministro Carlo Vincenzo Ferrero di Roasio marchese d’Ormea che gli commissionò decine di dipinti (Cifani - Monetti, 1993, pp. 520-524); dopo la morte di quest’ultimo, nel 1745, Ollivero continuò a lavorare anche per i suoieredi.
Al 1731 risalgono i quadri con Storie di santi francescani nella sacrestia della chiesa di S. Tommaso a Torino (ibid., pp. 144 s.); degli undici dipinti ne rimangono oggi sei; risulta inoltre che per la stessa chiesa Ollivero abbia preparato progetti di apparati effimeri per la settimana santa (San Martino, 1787, p. 10). Dello stesso periodo sono i due quadri sul Miracolo del Ss. Sacramento, avvenuto a Torino nel 1453 (Torino, Museo civico d’arte antica).
Il soggetto, di grande devozione in Piemonte, fu più volte ripetuto dall’artista insieme a molti altri temi sacri quali le Storie dell’infanzia di Cristo e le vite di alcuni santi come S. Filippo Neri, S. Francesco, S. Felice da Cantalice (tutti in coll. priv. e inediti).
Nell’agosto 1734 si recò a Biella dove si trattenne fino alla fine di ottobre e dipinse una grande tela con le Nozze di Cana (Oropa, foresteria del santuario). Nel corso dello stesso anno eseguì quadri per la villa in collina del marchese d’Ormea a Cavoretto e pitture per il suo palazzo di Torino (oggi sede della Banca d’Italia in via dell’Arsenale) e per il suo castello di Montaldo Torinese. Tra il 1735 e 1736 eseguì per il marchese d’Ormea veri e propri cicli pittorici (perduti), ispirati a temi di matrice culturale fiamminga, intitolati I cinque sentimenti del corpo e Le quattro età dell’uomo (Cifani - Monetti, 1993, p. 146); allo stesso periodo, sempre per il D’Ormea, risale la curiosa tela raffigurante Il pittore Ollivero che si batte con i suoi creditori (ibid., p. 147). Nel 1736 su committenza regia dipinse La Fiera presso il castello di Rivoli oggi dispersa (ibid., p. 549). San Martino (1787, p. 16) segnala una Passione di Cristo identificabile con la Salita al Calvario oggi nella Galleria Sabauda e databile intorno al 1737 per via di precisi confronti stilistici con opere documentate (Cifani - Monetti, 1993, p.152);fonte di questa composizione appare l’analoga scena incisa da Callot all’interno della serie detta della Grande Passione. Nel 1737 realizzò per il castello di Agliè dieci tele, ancora in loco, con soggetti di genere e biblici (ibid., pp. 148-150).
Dalla fine degli anni Trenta lavorò nel palazzo reale di Torino impegnato in una delle sue maggiori imprese: la pittura e la decorazione della terza camera degli Archivi nuovi. I pagamenti, reperiti da Alessandro Baudi di Vesme (Schede Vesme, 1968, p. 748), appaiono ben circostanziati, dal 30 gennaio 1739 al 21 giugno 1741. Si tratta di 42 scene, ancora in loco, raffiguranti il ciclo della Vita e degli amori di una famiglia contadina, dipinte a olio su legno e inserite nella boiserie.
Nel 1740 firmò e datò dodici sovrapporte e di cui non è nota l’ubicazione originale, con scene di genere (Cifani - Monetti,1993, nn. 196-208). Una di esse rappresenta un Ballo di nobili tratto da un’incisione di Laurent Cars, datata 1732 e, a sua volta, tratta da un dipinto di Antoine Watteau.
Dalla somma della sua vasta produzione risulta che Ollivero conobbe in modo approfondito anche opere di David Teniers il Giovane, Adrian Van Ostade, Theodor Helmbreker, Cornelis de Wael, Viviano Codazzi, Giovanni Maria Ghisolfi, Andrea Locatelli, Gian Paolo Panini, Jean-Baptiste Santerre, François Boucher, Nicolas Lancret.
Nel 1743 celebrò gli effetti del buon governo del re Carlo Emanuele III, figlio di Vittorio Amedeo II, rappresentando in cinque grandi quadri, firmati e datati, le allegorie dell’Architettura, della Pittura e delDisegno, della Scultura, delle Arti liberali, delle Arti della guerra (ibid., nn. 211-217). Si tratta di opere di straordinario impegno e di alta qualità pittorica e compositiva, la cui committenza non è ancora oggi nota. Nello stesso anno dipinse anche un Notturno con il falò di S. Giovanni Battista a Torino e una Processione alla Madonna del Pilone (entrambi a Torino, Museo civico d’arte antica). Nel 1745 firmò e datò una Fiera alle porte di Torino e una Cacciata del figliol prodigo (ibid., nn. 224-225). Nel 1745 e 1746 si dedicò alla progettazione di scenografie per il teatro Regio di Torino; fornì inoltre disegni di scene di genere e di battaglie all’ebanista Luigi Prinotto (Cifani - Monetti, 2006) e ad altri ebanisti torinesi del primo Settecento (Antonetto, 2010).
Dell’ultima stagione pittorica si ricordano, in particolare, le opere per la palazzina di Caccia di Stupinigi, per la quale eseguì, dal 1748 al maggio 1753, almeno una trentina di quadri, in parte destinati a sovrapporte; una decina di essi esistono ancora, dislocati in vari saloni dell’edificio (Cifani - Monetti, 1993, p. 550).
Nel 1753 eseguì quadri con scene di mercato raffiguranti le allegorie dell’Autunno e dell’Inverno (dispersi) per il castello di Guarene, su committenza del conte Traiano Roero di Guarene (Antonetto, 1979, p. 103).
Il 15 novembre 1754 firmò il testamento. Morì a Torino il 13 gennaio 1755 (Cifani - Monetti, 1993, p. 135); fu sepolto, per sua disposizione, nella basilica Mauriziana (Claretta,1899).
Fu autore anche di autoironiche quartine in endecasillabi a rima alternata: assai nota quella posta sotto un Autoritratto a penna (Torino, Museo civico d’arte antica), nella quale si paragona al celebre pittore Zeusi e a Bacco.
Maestro della pittura bambocciante italiana della prima metà del Settecento, Ollivero fu il più autentico testimone e interprete della civiltà del Settecento piemontese, della quale seppe far rivivere sentimenti, usi, costumi, moda, cucina.
Tra i numerosi allievi si ricordano, oltre ad Angela Maria Pittetti, Giovanni Michele Graneri e Giovanni Ambrogio Bertrandi (Bava di San Paolo, 1782, pp. 12-14); tra gli artisti che ne subirono l’influenza stilistica, Angelo Vacca senior (Cifani - Monetti, 2003) e Carlo Pascale d’Illonza (Cifani - Monetti, 1993, pp. 345 s.)
Fonti e Bibl.: G. Della Valle, Notizie degli artefici piemontesi (sec. XVIII), a cura di G.C. Sciolla, Torino 1990, pp. 86 s.; I. Nepote, Il pregiudizio smascherato, Venezia 1770, pp. 20 s., 45 s., 62; F. Durando di Villa, Annotazioni, in Regolamenti della Reale Accademia di pittura e scultura di Torino, Torino 1778, pp. 40 s.; E. Bava di San Paolo, Elogio storico del chirurgo Ambrogio Bertrandi, Vercelli 1782, pp. 12-14; F. San Martino,Ozi letterari, II, Torino 1787, pp. 3-18; L. Lanzi, Viaggio del 1793 pel Genovesato e il Piemontese, a cura di G.C. Sciolla, Treviso 1984 pp. 63 s.; Id., Storia pittorica della Italia (Bassano 1809), a cura di M. Capucci, Firenze 1974, p. 257; G. Claretta, I marmi scritti della città di Torino…, Torino 1899, p. 23; Schede Vesme, III, Torino 1968, pp. 744-749; R. Antonetto, Il castello di Guarene: un documento della civiltà piemontese del Settecento, Torino 1979, pp. 102 s.; A. Cifani - F. Monetti, I Piaceri e le Grazie. Collezionismo, pittura di genere e di paesaggio fra Sei e Settecento in Piemonte, Torino 1993, I-II, passim(con bibl.); G. Merlo et al., Gli artisti a Torino dai censimenti 1705-1806, Torino 1996, p. 34; A. Cifani - F. Monetti, in La collezione d’arte del Sanpaolo, a cura di A. Coliva, Milano 2003, pp. 226 s.; C. Debiaggi, Una pittrice valsesiana alla corte di Torino nel XVIII secolo: Angela Maria Palanca, in De Valle Sicida, XV (2004), pp. 141-160; V. Fasoli, La biblioteca di Eugenio. Scienza e arte della guerra, in Torino 1706. Dalla storia al mito, dal mito alla storia, a cura di D. Balani - S.A. Benedetto, Torino 2006, p. 265; A. Cifani - F. Monetti, Novità per Luigi Prinotto (1685 circa-1780), autore della scrivania con la Battaglia di Torino per Carlo Emanuele III di Savoia, in Torino 1706. Memorie e attualità dell’assedio di Torino del 1706 tra spirito europeo e identità regionale. Atti del Convegno, Torino… 2006, Torino 2007, pp. 801-830; A. Cifani - F. Monetti, Gusto fiammingo e fantasia italiana: P.D. O. (1679-1755) «pittore virtuosissimo», cantore della civiltà piemontese del Settecento, in Il Quirinale, III (2007), pp. 103-112; A. Cifani - F. Monetti, La collezione di dipinti di Pietro Mellarède (1659-1730) e degli eredi nel castello di Betton Bettonet in Savoia, in Saggi e Memorie di storia dell’arte, 2009, n. 33, pp. 165-203 (con bibl.); R. Antonetto, Il mobile piemontese nel Settecento, Torino 2010, I, pp. 69-128.